Canti sannicolesi

 

L’atto poetico è l’atto di liberazione, solo nella libertà è poesia… non si ha nozione di libertà se non per l’atto poetico che ci dà nozione di Dio (Ungaretti).

 

 

Alle tue forme più belle

 

 

 

Vorrei

Al golfo
 
Vorrei essere i tuoi monti
e le valli,
l’aria che li sfiora
li agita, l’incora
e placida fa loro compagnia.
 
Vorrei essere l’acqua 
che invade e penetra
che visita, percorre
scava
e poi è sorgente, ruscello
fiume
il tuo fiume
che denso di esperienza
matura la piana.
 
Vorrei essere i fiori tuoi
e i boschi
quando li sbatte la tempesta
e quando la quiete li riposa
i tuoi fiori nascosti
quelli profumati
i tuoi boschi
nei cui sentieri
per prima
il sole a sera si ritira.
 
Vorrei essere il tuo mare
la rena ch’esso bacia
lo scoglio ch’ha in sé.
 
Vorrei tutta la tua natura in me.
 
Ed essere la quercia
che i nembi sfida
e vince
vorrei come la foresta
tutti i sensi miei
unire alla tempesta,
che la scogliera
mi dicesse il suo segreto
e il monte mi prestasse 
un po’ della sua forza.
 
Vorrei
vorrei
essere in te.
 

 

 

Al capo San Nicola

 
Caro capo calabrese,
ricordi, dopo tanto
avesti le tue sembianze.
 
Il cielo su di te sorrideva
d’acquamarina
e lungo le pareti d’aria
oro e ferro mandava
nel tuo crogiolo.
 
D’un intero bosco a te fu l’aroma
che sarebbe entrato nel mio petto,
 
e la danza delle fronde ti s’impresse.
 
T’amarono gli animali,
io non c’ero
a venare col mio sorriso
la tua terra giovane.
Ritornarono le rondini a primavera
ma il passero era lì ed il tordo:
non ti parlarono di me
mai.
 
E ci furono quelli che sulle membra tue 
ebbero riposo.
 
Se fossi primavera
e l’estate,
l’autunno insieme e il verno!
 
Sarei stata l’acqua che ti penetrava
molle
e dell’aria avrei avuto
le mani piene di carezze.
 
Essere la levità del bacio al risveglio
il verde manto e il ramo
perché vi deponessi i miei tesori,
oppure raccogliere al par d’autunno
i tuoi sospiri lenti
e poi vegliare con l’inverno sul tuo sonno.
 
T’avrei dato il raggio più solerte
del sole che feconda e freme,
il gorgheggio d’uccelli a piena gola,
con le grandi braccia dei miei venti
anch’io t’avrei cullato al seno
dolcemente.
 
Dolce capo solitario
tanti furono i tuoi nemici
dai lunghi artigli voraci
sulle forme tue, quelli che aprirono
al tuo aroma la loro vanità,
e per le vie andò, rapito, il tuo sorriso.
E tu vedesti fare e disfare
come sul telaio
la tua tela.
 
Io allora già ti avevo nelle vene
come un microbo nascosto,
ma non c’ero.
 
Ora capo s’è coperta la corteccia del tuo petto
nudo di novelle spoglie
ed io son tornata
nel tuo seno
vero, nel cuore e nella mente segnata
libera nell’isola d’oro
solamente.
Io lì proprio lì t’ho trovato
e lì ti raggiungo
perché il mondo non ci vuole.
 
Mio capo San Nicola
anch’io ho colto la mia delusione
il giorno e la notte sordi
ai miei doni muti.
Ormai ogni dolore abita le membra
mie, stilla a stilla
le bagna, di lacrime e di sangue.
Ma l’isola d’oro e di fuoco
freme nei viali infiniti
come sulla lira il suono
del mio canto
e il tocco che nasce
tra i guanciali del tuo cuore
con la lunga voce segreta
cerca quella nota.
Lì il mio canto e il tuo suono…
 
perché il cielo e la terra
il giorno e la notte
tutti ci sorridono
veramente.
 
 

 

 

 

 

 

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