Isola

 

III

 

Approdo azzurro

 

Dalla baita nell'abetaia

 

Quella fusione di dolore e di gioia, di tumulto e di serenità, quella gioia che è venata di dolore, quella serenità che sa di essere stata tumulto e di contenere in sé il tumulto dell’anima richiede un raccoglimento ed un’elevazione interiore, una interiore purificazione, che nel volgo non accade mai, nei molti accade debolmente o fugacemente, e solo nei non molti si spiega libera ed intera e si converte in atteggiamento e capacità spirituale. Chi entra nella sfera estetica (diceva il Baumagarten ai suoi scolari) "dev'essere un gran cuore". […] L’elevazione estetica si congiunge intimamente all’elevazione morale e traspare in essa. (B. Croce).

.

Questi versi sono nati in un'ardua ora della mia esperienza terrena. Esprimono essi la fibra dell’uomo nel superare il negativo e nel conquistare posizioni spirituali che non finiscono di stupire.

 

Al volo mai radente che sfiora gli uomini nelle decisive stagioni della loro esistenza

.

 

 
Ballata
 
 
Nulla avevo ordinato, invece
tutto era pronto.
 
                                                            E nel cielo fu un volo
 
Allora in chiuso usbergo fui vana
d’un nemico senz’armi guerriera.
 
Io non ti invitai alla contesa
e tu non combattesti
ma vidi cadere antichi troni
e gli abissi che si aprirono
sconvolsero la mia geografia
 
dal fondo s’alzava un richiamo.
 
Allora come artista col marmo
gli detti una forma.
 
                                                           Cantava quel volo nel cielo
 
E fu l’isola il mio progetto fondamentale
opzione del mio centro più profondo
che si realizzava al di là della siepe
con un metro diverso.
Non fu come tutte di pietra e di terra
ma costruita con questi strumenti
per un’estrema scommessa vinta
con le mani legate ed i piedi alla terra.
 
L’isola ha spazi diversi sul mare di luce
ripari, sostegni
pedane di lancio
e la sua voce s’accresce
con nuove preghiere esaudite
seguendo il docile ago
di viaggi già fatti,
la voce
che percorre viali infiniti
scava piani orizzonti
che mostrano nuovi orizzonti.
E lei si dilata
si piena
straripa
invade
giorno a giorno
ora a ora
e io son nei suoi monti
son acqua alle polle
son vento, natura.
Io nuda e solitaria
di forme creatrice diversa.
 
                                               Costruì nel mio cielo quel volo.
 
Mille pensieri e mille
son pezzi di isola
e poi sensi
gocce di cuore
strette di labbra
voli
ed io a lei m’abbandono
avventuriera
perla conferma d’un nodo profondo.
E quando trema la via del mondo
la cerco
e lei diventa la mia regressione
più salutare
 
situazione di fondo.
 
                                                   Illumina quel volo il mio cielo
 
Ma perché questa creazione essenziale!
Che senso ha una mancanza di tempo
e di spazio
che mi scandisce e misura?
Nelle tue fondi radici, isola,
hai scritto intero il mio nome,
apriti
dimmi la via
ch’io questo azzurro comprenda
 
infinito
 
e veda il raggio
che dal fondo del mare
t’ha tratto.
 
                                      Il mio cielo ha assorbito quel volo.
 
Ora nell’isola alita un denso profumo
soffio elegante
che muove le chiome
e si fa brezza sul volto del lago
con tenera mossa un fiore raccoglie
e se s’allontana
lascia 
una scia.
Ora nell’isola scorre un’acqua ridente
spuma allegra tra i sassi
gentile con l’erba
attento al ramo che a lei si protende.
Ora nell’aria splendono d’oro pagliuzze
d’un fascio di raggi
non cala la nebbia
e c’è l’alba il meriggio, il tramonto.
 
E lei qual ebbro altare di neve agli spazi
picco stordisce,
qual fiume alla foce solenne
innalza bastie,
come torre antica sui tetti
rincora.
 
Notte serena qui sono i suoi occhi
il suo viso il velluto di un frutto
ed il gusto
 
sa di piuma fenice la carezza del labbro
 
e se l’abetaia fruscia nel vento
è la sua voce.
 
Ora nell’isola piano
di tenero ciglio
scivola un’acqua
e in giro porta la sua seduzione
 
e un canto accompagna 
soave.
 
                                                     Il cielo e quel volo lontano.
. 
 

 

 

 

 
 
Dal giardino all’isola
 
 
I
 
 
Era un tempo lontano.
In verde giardino la bimba
cullò la sua fantasia
 
pensieri qual fiocchi di nubi
al destar dell’aurora,
pensieri gentili
qual soffio d’aprile.
 
E fu la tempesta.
La bimba già l’ali aperte
al bacio del sole, respiro di vita.
Ma vinse il mondo
che miete le brocche dell’uomo
e la prese
con l’animo teso.
 
E fu ieri.
L’occhio rivide
tra i veli del  mare
la sua fantasia
ed era simile a quella di prima
coi viali di fiori,
e rivide i voli
nel mare di luce
tra canne alla riva.
 
E non fu sola.
 
Se s’apre il guscio del tempo
i segni sepolti
gocce di cuore
trasuman,
qual voci dal coro del fondo.
E vince l’umana sostanza
che s’alza
a scoprire
sulla vetta dei cieli
che noi siamo amore.
 
 
 
II
 
 
Lascia che io vada alle radici dell’isola
e incontri la bimba 
e che essa mi mostri un giardino
di rovi
e nel castello la bella.
 
Non sono le favole voci di giochi
ma echi,
pezzi di cuore,
scrigni con dentro il tesoro.
 
La bimba lontana
è ora nella vicenda del mondo
ha frutti sul ramo
è là sulla piana
e il mare è lontano e la pioggia, 
non c’è nutrimento di vita
e l’aria è pesante.
 
Poi un rivolo giunge
è fresco
e porta cose profonde,
si risvegliano echi
e profumi
la radice s’inturgida 
e vive
cresce nel suolo nascosta 
s’espande.
Ed ecco son gemme 
son bocci,
polloni
si ridesta il giardino sfiorito.
Vivon gli sterpi 
al soffio del vento
la nebbia si scioglie 
al raggio del sole
e il fiore 
si apre.
 
Ma non è più il giardino d’allora
coi sogni,
ha una sola radice
quella col tronco stecchito
e i frutti sul ramo,
non è più un giardino del mondo
che aspetta la vita,
è un’isola d’oro
in un mare di luce
che brucia,
un’isola sola
Atlantide forse
ma sola
nel mare.
 
 
 
III
 
 
E brillò il sole,
quando un raggio d’azzurro
depositò sulle vesti 
il profumo.
 
E il giorno ha ritrovato antiche ore.
 
Tra i viali solitari vanno i passi, 
il bianco fiore sbucato sulle fratte
chiama l’insetto
e muove sulle spine la corolla,
vola lassù una rondine
e al nido,
che sul ramo di perla 
apre il becco, 
porta l’insetto.
 
S’apre un giardino addormentato
tutto si sveglia 
ch’era abbandonato,
si ridestan sembianti
e voci 
e cori
 
l’eco riconosci dei tuoi monti
e poi t’accorgi
che tutta quella festa
da un cerchio di mare era abbracciata:
la bianca falena della bimba
in un’isola d’oro 
s’era bagnata.
.
 
 

 

*

 

 
Azzurri recessi
 
 
Siamo come viandanti che solcano i mari
quando nel mattino dei voli
prendiamo l’abbrivio,
come viandanti abbiamo gli approdi
per poco, ché il viaggio riprende
la fuga amando e il ritorno.
Scendon veloci dal cielo le ore
quelle che portano coppe di fiele
e quelle che han ceste di camuffato veleno.
La strada d’un solo veliero ci tocca.
 
Ma d’aneli desii ci sono viandanti
quando sulle trame del mare
cercano un’isola, 
come nocchieri li guida una stella
sterile amica del cielo
questo o quel lido sondando.
Con essi vagola l’angustia del sogno
nessuno scopre l’agile scia
nessuno raggiunge l’Atlantide ambita
L’onda non sa la via latebrosa.
 
Solo le navi spinte dal soffio irrisolto
quando del mondo scopre la beffa
giungono all’isola.
Solo le navi che vengon dal fondo
dei cuori, di chi si fa ninfa 
al rivo il pianto donando
Da quelle stive discendono ospiti
ognuno va in cerca d’un tempio
ognuno ha nel turibolo ambra odorosa
E il mare di fuoco trasmuta il metallo.
 
E siamo viator prometei se abbiamo premura
quando per amiche brigate
al mare torniamo,
ma come ricchi viandanti doni 
spargiamo nel giro, la voce 
sua azzurra ascoltando.
L’isola ha il seme per l’olio dell’anima
perché dei suoi rivi scivoli l’urto
e olente sia stilla per la voce del corpo.
Isola, tu nelle membra serpeggi.
 
Vedi, l’isola ha uccelli fuggiti dal mondo
quando nel gorgo dei venti
più gabbie ha nascosto.
Come angeli hanno occhi nel sole
e ali, e sorrisi cercati
il bene ch’è bene donando.
Nei nidi ci sono le cose che vuoi
parole, mai sentite parole, 
frasi, e abbracci che non s’aprono mai.
Nell’isola c’è l’amore totale.
 
Solo nell’isola viandanti non siamo
negli occhi ci sono carezze,
oh, di carezze son pieni.
Il fuoco non si consuma ed aspetta,
la casa risuona d’un pianto
tanta bellezza mostrando.
Nelle palme il molle bisso contorna
chi ha le stesse mie forme
chi ha trovato l’isola amando.
L’isola è il nostro stesso portato.
 
Tra gli spazi la sua carezza si stende
quando dalla storia approvata 
fiorisce la vita
come quella del fondo del mare,
la vita reale che cresce
dinanzi al mondo arretrando. 
Ecco si realizza l’evento e tu vieni. 
Tu vieni e più ombra non sei
ed io nel mondo pellegrina con lei.
L’isola è vita ma sacra e nascosta.
 
E noi siamo amanti che si cercano muti
quando dai suoi antichi misteri
salgono suoni,
come amanti scopriamo il segreto
dell’uomo, mentre al desco sediamo
latte e miele libando.
Della terra e del cielo avventura
come da acqua vapore diventa
o come discende qual pioggia dal cielo.
Sulle sue membra c’è un manto di bene.
 
Non puoi dir no alla sua cheta canzone
quando dalle porte dell’anima
qual eco risuona.
Come artisti creiamo i suoi segni
la subbia per le attese deluse
ogni racconto ascoltando.
Nella sua voce c’è il tocco che involge
quello che scioglie i nodi del tempo
quello ch’annulla i confini e le ore.
Non reggono all’isola le stelle del cielo.
Non portare lontano la nave sull’onda
quando nei viali dell’isola
c’è un canto.
Adegua l’orecchio e il pensiero
scoprirai forme diverse
queste e quelle cercando.
Troverai le cose che credi perdute
il buio avrà la luce più densa
i segreti saranno quali viali nel sole.
E la tua angustia si scioglierà come cera.
 
 
.

 

*

 

 
Amore totale
 
 
Non è come l’alzavola dello stagno
l’ala pesante al volo,
ma come l’aquila delle ampiezze
l’amore profondo,
nel suo respiro denso
murmure intenso
l’anima cresce e si piena,
l’amore reale
è come la materia col segno del primo autore
come il mare disposto
d’ogni fiume a ricever la parola.
 
E noi intenti a leggere nelle onde
a risalir fino alle vene più profonde.
 
Solo allora la forma dona il suggello,
avanza l’andare
l’amore reale
segna
il nostro povero fare.
 
Ma lenta è la via
e dura,
nel carro il peso del corpo,
i fossi alle ruote.
 
E solo se è vero l’aratro
il solco è fecondo
solo di resina pura la face resiste
e guarda lontano
 
e il seme in mille frutti 
si espande
 
e nella luce non naviga il timore.
 
La fiaccola amica dell’uomo
che ama
nei cuori sonni cupi
balugina
come fascio di raggi che scandaglia;
la fiaccola che scioglie
lo sfibrarsi del giorno
in sorriso
come l’aurora ad oriente.
 
Con questi strumenti l’animo vive
come dall’aria e dall’acqua
prende forma la vita
e nuovo ardore.
 
Con questi strumenti io lavoro
e sono l’ape col miele
e sono il fedele 
ch’apre i recessi cupi del cuore
al Signore.
 
Con questi strumenti s’aprirono le porte
d’un giardino un tempo sparito
e ci furono visioni lontane
come echi suadenti
d’un canto che strugge il ricordo
ed il cuore avido bevve
con gli occhi aperti solo alla luce
ma erano sogni
fole
chimere
ch’il mondo schiacciava col piede
del freddo suo inverno
e l’animo che dal fondo ascoltava
l’amico risuono del vento
chiamar quelle fole,
l’animo come liana che va verso il sole
donò a quei tesori l’isola d’oro
perché la primavera e l’estate
non conoscessero il gelido inverno
alla rosa non ci fossero spine
e ogni acqua avesse
la trasparenza del rivo.
 
Ora l’isola ha pascoli verdi
per l’amore totale
e si riempie di sole
ora i frutti son teneri e i fiori
che mai senso mortale conobbe
ora tepide sono le aure 
gentili i rivi
che mai primavere produsse
e quel sole
che l’uomo affannato non sa
quel sole conforta
ed è come l’abbraccio d’un grande fratello
che avvolge e protegge
come il seno della gran madre terra
che accoglie disposta il riposo
come un simulacro totale
oppure come un viandante
che trova la casa 
che tanto l’ha atteso.
.
 
 

 

 

*

 

 

 
 
Non può
 
 
Non può il vero abitare 
tra le spine del mondo
perciò se vuoi dargli una rosa
scompare
e resta un grigio brandello.
 
Ma non ti lascia il vero
è là che sorride lontano
dalle cose di tutti. 
 
Il vero pudico
 
e l’uomo impazzisce
a seguir la sua scia
nella strada
 
e sol lo raggiunge
nel suo profondo.
 
Non può l’amore brillare
nel fumo del mondo
perciò è solo un riflesso
velato
sull’opaco cristallo.
Ma non muore l’amore reale
altrove fa costruire 
l’isola d’oro.
 
L’amore profondo
e l’uomo non sa
ch’è una scia labile
l’amore nel mondo
del diamante
che sta nel suo fondo.

.

 

 

*

.

Solitudine amica

 

Ci sono grandi avventura dell’animo che si vivono solo in solitudine. (M. Peretti).

 ….

.

 
 
Solerti romitaggi dell'animo
 
 
I
 
 
E fui colpita.
 
Ero chiusa nel guscio di madrepora
che vive nel fondo,
sulla spiaggia mi aveva portato
l’ampio respiro del mare.
Non sapevo c’esistesse il tuono
nel silenzio profondo.
Allora vidi lo specchio del mio nulla
e nel viaggio che il vento iridava 
un arco di luci
tra il cielo e la terra.
 
E fui solitaria di viaggi.
 
Presi l’abbrivio, un cammino
qual pirata in cerca di ori.
Avevo nascosto lo scrigno
ma non conoscevo la chiave, 
avevo tante mani ma erano legate,
e lessi la mappa
e compresi che dovevo avventurarmi,
aprii le vele al vento:
non sarei più tornata indietro.
 
 
 
II
 
 
E venne il banditore.
 
Le parole penetrarono
fino alle ultime regioni,
dolce carezzò i sassi il respiro.
“Chi sei?” chiese il cuore
che dormiva placido il suo tempo.
E la mente che certezze aveva: “Perché?”.
Anche gli occhi rimasero sospesi.
Pian piano in tutto il mio paese 
giungeva l’invasore.
 
E sulla spiaggia ove il mare
dormiva in mezzo alle ginestre
il vento si posò nella mia estate.
 
 
 
III
 
 
Sola come stella a ponente andavo
il passo nella via di tutti.
Ma un giorno la mia si schiuse
qual fiore a sera, e l’anima pianse
perché l’eco si perdeva nella valle.
In quella via non troverò
il sentiero più profondo
che alle sorgenti del cielo
ha guidato la mia sete.
Le vertigini dell’animo
sono come i palpiti dell’universo
non le porta il vento
si ascoltano nei silenzi.
 
Ed ora la mia libertà non canta per tutti.
 
 
 
IV
 
 
A lungo ho viaggiato coi miei cavalli
tante ali erano aperte nel vento
 
e le radici legate alla terra
 
e la luce si spegneva.
 
La via fu piena d’intralci
come un sentiero tra i rovi
 
dalle contese appaltate, dure, 
dalle sconfitte
compresi che la meta era lontana
 
resisteva duramente la natura
 
la voce del cosmo era roca.
 
E tutto fu consumato
la coppa fu piena più volte
e bevvi soffrendo.
 
Allora ogni cosa fu chiara
una porta s’apriva
invadeva una luce.
 
Ero penetrata in un mondo
che chiudiamo
gettando la chiave.
 
 
 
V
 
 
E allora entrai nella mia casa.
Ero di stracci vestita,
inseguita,
senza argomenti.
Mi aveva chiamato
un giaciglio di spine.
 
Era buia la casa
le imposte aperte e le porte
il freddo bloccava la mente.
Nella penombra deserta
cose morte alla vita:
deboli fili di ragno
resti di futili ore,
fuscelli.
 
Come abile artiere adoprai
assi chiodi spranghe e tenaglie
con un unico grande motore.
Lavorai alla casa con lena
perché fosse sicura e ospitale
ragionai con gli attrezzi
m’ostinai negli inciampi
come il mare fa con gli scogli,
ma la forma era grezza
e la fronte fu fredda 
di morte.
 
I rombi del mondo
nodi, ceppi, pali, flagelli
incontrai, 
mentre alla piana ero intenta
ne allontanavo gli stecchi
con gli appetiti e lor foglie
perché i nuovi germogli
non fosser gravati
di terra;
e fui alla ceppaia
e nacquero bacche e baccelli
col pensier che non erra.
 
Osservai il lavoro compiuto
con tanti punti d’appoggio
e riconobbi possibile
che nella tresca del giorno
si trovano le ore solari
in un solo quadrante.
 
Tra le cose nuove ho trovato
un giaciglio sereno
non per un sonno di morte
alla vita
ma perché la fralezza s’arrenda 
al guardiano.
Quando ora incontro la lotta del mondo
apro il sacco di vita coi grani
e mi avvolgo nel manto.
Gli scarponi son forti e pesanti
gli occhi attenti all’inganno
mentre raccolgo assi e chiodi
spranghe e attrezzi
per avere altri appoggi
nella dimora profonda.
 
.
 

 

*

 

 
Piegati nelle tenebre dell’animo se vuoi illuminarle.
 
 
Fratello, avvien sovente
nell’umano commino
d’inciampare in fossi
d’entrare in crudi inverni
d’incontrare mostri.
Anch’io mi son trovata
nel regno di Caronte
e fu per me un supplizio
di Tantalo il divino.
La mia colpa: una sfida
al mediocre
tentando
l’eccellente.
Il rogo prometeico
venne dal dono mio titanico
e l’aquila in eterno
divorerà il mio lato.
Poiché come Sififo
fuggita son dall’Erebo
rubando al par d’un ladro
il conforto d’alti voli
son condannata a spingere
massi che precipitano.
Se il fio fu respingere
la sorte contrattata
il mitico castigo
è segno
che se t’arresti là
dove il fiume tace
non soffri disgregazioni.
Basta però gustare
un poco più di umano
che sei in giardini eterei
e con l’ambrosia olimpica
lenire puoi l’ambascia.
Il godimento vero
che vien da questi approdi
trasforma i sassi sisifici
in specchi che riflettono.
Fratello non fermarti
aggrappati
tu puoi riuscire, 
alla tua molle edera
puoi divenir bastone.
 
 
.

 

*

.

 

Negli opifici dell’umanità

 
 
Nei cantieri dell’umanità entrai
giunsi al contratto, mi misi in fila
 
mi adeguai
alle maestranze normali.
 
Amo”, ma era parola vuota
come quella di tanti
che amano con la pelle,
e quel contratto si fermava lì.
 
Io allora non amavo
con le radici nelle zolle umide
con l’acqua nelle cavità profonde
con la voce del magma nucleare.
 
E scoprii congegni
di proclivi operazioni
muovere sterili febbri
nel riso d’una beffa.
 
Non si spengono lì
le luci fredde della convenienza
con le finestre tutte aperte o tutte chiuse.
 
Allora mi chiesi più volte, 
subendo la violenza
fredda
della natura,
se tutti fossimo automi
nell’officina dell’umanità
con un pulsante o un interruttore.
 
Si entra risucchiati
dal vortice che chiama da sempre
le generazioni.
Ma quelle costruzioni si chiudono
dietro la tua corteccia
e intorno cresce una foresta
coi semi del prossimo raccolto.
 
Colpisce la legge di natura
che scopre la mediocrità.
.
 
 

 

*

 

 
 
Olimpo dell’anima
 
I
 
 
Anche noi abbiamo un Olimpo
ove libar con gli dei
senza i vestiti del mondo
e sulla confusa vicenda 
comune
stendere un velo.
Anche noi possiamo 
qual Eracle invitto
usando i ferri del corpo
nella lotta del giorno
sedere ai conviti divini.
Anche noi possiamo scoprire
gli dei.
Venere che vince
con l’amore profondo,
Marte distruttor di catene,
Atena con lo scudo sapiente,
e con loro dominare sul mondo
di ossa e di sangue
e respirare un’aria più alta
ricca di semi.
 
Essere come gli dei
che non hanno paura dell’uomo
col corpo
e col cuore.
 
E quando incontriamo gli dei
la voce è canto
che tocca le corde profonde.
 
 
 
II
 
 
Come al pastorello
sulle pendici d’Elicona
le Muse
il bel canto insegnaro,
così il mio verso 
s’affina
e la dea dalle braccia
di luna
sul mio Olimpo
 s’aduna.
 
 
.

 *

…. 

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