A cura di Gioacchino la Greca

 

 

 

Deposizione di Cristo

 

 

(1602-1604)

Olio su tela (300x203)

Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano

 

 

di Michelamgelo Merisi da Caravaggio (1571-1611)

 

 

 

 

 

 

Opera nota e già apprezzata dai suoi contemporanei, composta per la Chiesa Nuova di S. Maria in Vallicella, poi trafugata da Napoleone in Francia e restituita ai musei Vaticani dopo il Congresso di Vienna. L'impianto della scena e dei personaggi sembra richiamare una delle tante recitazioni sacre che già erano famose in tante tradizioni locali e che ancora oggi vanno per la maggiore in tutto il mondo, non solo in Italia. Giunto all'apice della sua arte, il Merisi ormai è pronto a sfidare i grandi dell'arte e cimentarsi con loro, ormai scevro da qualsiasi timore reverenziale nei loro riguardi. Facendo onore al suo nome, sfida il suo omonimo fiorentino Michelangelo, riuscendo a riprodurre su tela lo stesso braccio pendente della famosa Pietà, e anche le fattezze del Cristo morto giovanotto richiama in pieno quello che giace sulle ginocchia della giovane madre michelangiolesca. Presago del destino che attende ognuno di noi, il pittore spalanca sotto i nostri occhi in primo piano il sepolcro vuoto, indicato dalla sporgenza del gomito del portatore e dal suo sguardo che oltre la tela sembra indicare a noi spettatori il destino finale. Anche qui il pittore si concede la sua dissacrazione abituale con la bella mostra dei piedi ignudi e sporchi del portatore barbuto, mentre altra sfida ad alto livello viene ingaggiata con Raffaello nella figura della Cleofa a braccia spalancate che ricorda le scene dell'Incendio del borgo, con una resa drammatica che rende la cupa atmosfera dell'evento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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