A cura di Gioacchino la Greca

 

 

 

Viaggio nell’Arte

1996

 

 

 

Veder sorgere l'alba in questa città è come se si aprisse uno scrigno pieno di gemme multicolori. Il rubino del cielo all'alba scaccia lo zaffiro delicato della notte, e si spande per i tetti e vorresti averlo tra le dita. Persino l'aria che respiri, nonostante sia già pesante per lo smog delle prime auto che ti tagliano la strada sfrecciando, sembra leggera e deliziosa. Firenze non finirà mai di deliziarti dei meravigliosi tesori che nasconde, pudica e accattivante, allo sguardo rapito del visitatore, per poi spogliarsi completamente e mostrare se stessa ricca di inestimabili bellezze. San Lorenzo e il Mercato sono la sintesi del moderno e del classico, il caos e l'ordine che si fronteggiano nell'eterna cosmica lotta, espressione di due età inconciliabili e inavvicinabili tra loro. Ma l'incompiuta facciata michelangiolesca di S. Lorenzo ti lascia quasi il rimpianto della perfezione non raggiunta, e il caos del mercato quello della pace interiore che sarà sempre difficile da assaporare. E tutte e due questi aspetti li ritrovi non appena entri in "S. Lorenzo". Perchè il Bronzino, Masaccio e Donatello vi hanno lasciato le grandi tracce del loro passaggio, con il Martirio del Santo, la Trinità prospettica, e i pulpiti ad arche classiche scolpite. Ma è ancora Michelangelo a stupirti mille e mille volte ancora nelle "Tombe Medicee", perchè mai arte scultorea e poesia del marmo e plasticità di corpi furono così immensi scolpiti da mano d'uomo. A Palazzo dei Medici scopro che "Benozzo Gozzoli" scrive pagine di storia fiorentina con una "Adorazione dei Magi" di cui conservo anche il caro prezzo per la visione (lire 12000). Lo scrigno ormai è completamente aperto. La città ti offre l'incanto di un gioiello rinascimentale (gotico) e moderno che mai occhio umano potrà rimirare se non in S. Pietro a Roma. Brunelleschi e la sua scienza hanno offerto all'uomo la possibilità di erigere archi, volte e cupole, senza più far uso di transetti a tutta volta come nelle cattedrali gotiche, ma solamente sfruttando la gravità e la disposizione delle pietre una sull'altra. E così il Cupolone brunelleschiano domina e protegge l'esilità preziosa del "Campanile di Giotto" vertiginoso per altezza e arditezza unita alla bellezza, mentre la facciata policroma a tre colori di S. Maria del Fiore, verde di Prato, bianco di Carrara e rosa di Maremma, ti blocca il fiato in gola e ti mette il cuore in gioioso affanno. Ed eccoli i Maestri fiorentini, Donatello, Paolo Uccello, Della Robbia, Ghiberti, Gaddi Agnolo, Giotto, Brunelleschi, Michelangelo. La Summa dell'arte italiana dal XIV al XVI secolo è lì che ti avvolge e ti stravolge l'anima, gli occhi e l'intelletto. Quietamente ci inoltriamo nel "Centro Storico", seguendo l'istinto che ti porta a buttare la moneta nella bocca del porcellino del Mercato sotto portici, ed esci a "Piazza della Signoria". La torre e i merli del Palazzo Vecchio sono imponenti quanto la copia del "Davide e del Nettuno Biancone". Il primo è bellissimo, nonostante sia copia, e ti prende un raptus quasi erotico nel guardarlo; imponente quanto brutto il Nettuno Biancone, in una dimessa posa da divinità del mare che fiocina lo sguardo altrui nelle sue non proprie grazie. E poi "la Loggia dei Lanzi" che richiama ciò che a scuola non volevamo imparare dai libri e che le sculture mostrano chiaramente: Perseo e Medusa, il Ratto del Giambologna, Ercole e il Centauro. Nelle sale di Palazzo Vecchio l'occhio umano gode del sommo sapere altrui. Vasari volle affrescare le sale con storie di guerra con allegorie di Cosimo I dei Medici, con le sculture delle fatiche di Ercole, tra cui un eroe ormai vecchio afferra un giovane Diomede dai genitali e lo catapulta a testa in giù. Palazzo Vecchio offre al visitatore l'antipasto degli "Uffizi", al quale l'affamato di arte e bellezza deve volgere il desco vuoto del suo ignorare e colmarlo con i doni della sapienza. Il giorno si conclude col tramonto rosso purpureo dell'Arno che sfocia poco dopo nel viola dell'imbrunire. Adesso ci aspetta una fumante "fiorentina al sangue" nella trattoria del lungo Arno. (continua)

 

 

*

 

Il Lungo Arno da Ponte S. Nicolò alla Biblioteca Nazionale alle prime luci dell'alba si presenta come una soffice distesa di colori pastello, ancora poco turbata dal traffico. Ne assapori il lieve tramestio dell'acqua che placida scorre sotto le arcate, le attraversi e te lo scordi, tuffandoti tra storiche viuzze perchè Santa Croce ti calamita a per ghermirti tra i tentacoli della sua magnificenza architettonica e artistica. C'è poco di novità all'esterno nella tricromia dei marmi, similari al Duomo, ma l'interno ti commuove e ti intenerisce, perchè d'un tratto capisci cosa possa essere l'Amor Patrio, il Suolo Natio, la ragione dell'Unità etica e morale di un popolo, la "religio" che ci unisce e ci fa dire che siamo fratelli in patrio suol. I Sepolcri dei più grandi di Firenze immortale e d'Italia sono li davanti ai miei occhi, a ricordare a quanti li rimirano che siamo partecipi piccolissimi di una grande storia e nazione, per ingegno, spiritualità, arte. Donatello, Canova, Vasari vi hanno scolpito le tombe di Alfieri, Buonarroti, Dante. Giotto ha affrescato la Cappella Bardi e la Cappella Peruzzi, Gaddi la storia di Santa Croce. Nel Chiostro speculano sulla sete di conoscenza e souvenir e ne approfittano per appiopparti a prezzi doppi monografie di Piero e Masaccio. Ma passiamo oltre e alla Cappella dei Pazzi rimiri Donatello e quel genio che volse lo sguardo al cielo dal cupolone, Brunelleschi. Mentre al refettorio il "Crocifisso Annegato" di Cimabue ti accoglie dall'alto del suo abbraccio, con gli affreschi di Giotto e altri coevi. Si esce forse storditi e l'ampio respiro che ti dona la vista della piazza forse più bella del mondo, guardata dall'alto dalla statua dell'Alighieri sul piazzale del duomo, è sufficiente a superare l'impasse di quelle forti emozioni. Ci si avvia per la casa di Michelangelo, che il Vasari impreziosì, ma con tutto il rispetto diventa una visita quasi inutile perché il Genio non abita più in quel posto meta turistica e ambita. E cosi ci si dirige forse delusi, verso Piazza dei Cenci, ove al mercato delle pulci l'inutile e il ciarpame diventano sublimi. Neanche gli ebrei meritano la visita della sinagoga, e la foto rubata tra le grate di protezione risuona beffarda come furto alle loro tasche ben munite e cucite. A questo punto, insaziabili, ci si dirige di nuovo verso S. Lorenzo. Il grande Genio di Firenze è sempre li, pronto ad accoglierci di nuovo fra i suoi capolavori, Le Tombe Medicee, con le grandi sculture che vorresti toccare e scomporre con le tue mani, farle tue in qualche modo, che riuniscono l'umana genia nel culto della Bellezza universale.. Si riattraversa l'Arno dal Ponte Vecchio, e mi accosto a S. Spirito, luogo di culto, in cui l'arte non vi entra strombazzando, ma in punta di piedi, con numerose pale d'altare di pregevole fattura. Anche oggi la sera ci coglie sorpresi a rimirare l'Arno e le sue dolci anse. Credo che Firenze sia tutta nel suo fiume.  (continua)

 

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Firenze è come una bella donna, per goder delle sue grazie devi pagare lo scotto della sofferenza. E si sa che le pene d'amore son dolci da sopportare. Colpire una donna per entrare nelle sue grazie significa mirare al cuore, al sentimento, alla bellezza. Il cuore della città gigliata è situato agli Uffizi, dentro si gusta la bellezza dell'arte pittorica e il sentimento più alto che essa può suscitare, l'amore per il bello che riflette il volto di Dio. Forse l'arte pittorica a certi livelli è seconda solo alla musica per capacità di farci gustare la scintilla divina dello spirito dell'uomo. Fuori dagli Uffizi si soffre in fila per due ore già di buon mattino, ma ne vale la pena se ciò è necessario per entrare nel tempio della bellezza, dell'arte, della cultura. Si viene accolti da una collezione di sculture e copie ellenistico romane che sembrano messe li a ricordarti con austerità e magnificienza la nostra comune origine da così nobile stirpe, noi immemori e ingrati discendenti di cotanta progenie. Poi ti immergi in Giotto e Cimabue, maestro il secondo superato dall'allievo, Leonardo e Mantegna sommi del XV secolo, inventori dello sfumato e della resa scultorea in pittura che fece grande Michelangelo. Raffaello e Perugino, questi soave, quello divino. I veneti maestri del colore e del mistero, Giorgione e Tintoretto. Poi Caravaggio, per cui dipinger al natural fu vero diletto. E poi..... sei travolto da 100, 1000 tele superbe, smanii con l'occhio e con la mente, il cuore in subbuglio come ad un appuntamento con la persona amata, e invece sei inseguito dalla Sindrome di Sthendal, che rischi di prendere ad ogni svolta di angolo o sala, e immerso tra Piero della Francesca o Botticelli vaghi incurante della folla e ti immergi nella pace delle corti del rinascimento fra Lorenzo dei Medici e il Duca di Montefeltro. Tutte le letture appassionate, gli studi disordinati ma amati sulla storia dell'arte che hanno preso diverse notti della mia giovinezza, adesso lasciano il posto a questo turbine di immagini che mi rapiscono nel cielo delle muse, sgretolano certezze culturali e si ricompongono in nuovi mosaici, aggiungendo altri tasselli, i colori reali che puoi toccare con mano e gustare dal vero. Dopo essere stato ai Palazzi degli Uffizi qualunque altra cosa ti sembra piccola al confronto, terrena, e così voglio solo gustare il ricordo. Come quando si è centellinato un bicchiere di Brunello e si assapora il retrogusto. E questo diventa possibile girovagando senza meta precisa per il centro storico più bello del mondo. L'indomani è la volta di Palazzo Pitti, dopo la regina dell'arte, il re. La nobiltà fiorentina non era certo da meno dei papi o del re di Napoli e di Francia, per cui la sontuosità e lo sfarzo non mancavano di essere accostati ad un'arte votata alla gloria dei Medici, o chi per loro. E così i soffitti delle regali stanze affrescate con le gesta degli antichi dei e degli eroi omerici, si affiancano ad una enorme galleria di opere d'arte che sono l'ideale continuazione di quelle godute il giorno prima agli Uffizi. I movimenti del Rinascimento, il Manierismo del '600 e il Barocco sono presenti con i massimi esponenti dell'arte pittorica. Raffaello con la sua Dama Velata e la Madonna della Seggiola. Ma tutte le sale contengono tesori, come scrigni preziosi che una volta aperti abbagliano gli occhi con lo splendore dei vari Velasquez, Tiziano, Reni, Giulio Romano. Estasiati da tanta beltà, ci sovviene che oltre lo spirito anche il corpo necessita del suo sostentamento. E gli ampi giardini di Boboli, magari meno comodi degli omologhi di Versailles, ma altrettanto altezzosi, offrono spunti interessanti. La giornata condotta fra le querce secolari di Boboli si avvia a diventare uggiosa. Ci avviamo di corsa verso S. Maria del Carmine perchè un capolavoro universale ci attende: la Cappella Brancacci affrescata da Masolino e Masacccio, con le storie di S. Pietro e Adamo ed Eva nudi, finalmente, come Dio li creò.

 

 

 (Da Memorie di un Viaggio di Gioacchino la Greca 1996, settembre)  

 

 

 

 

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