Fiaba

 

IL RE DELLA CACCIA

 

 

 
C’era una volta un re che aveva una sola grande passione, quella della caccia.
In verità nel regno tutti erano presi dallo stesso interesse come sempre capita ai sudditi, anche perché, diversamente da quella che succedeva negli domini di re, lì a tutti era permesso cacciare. Non c’era casa che non avesse il suo trofeo e la sua avventura, perciò nelle sere d'inverno presso ogni camino, si narravano strabilianti imprese di foreste intricate tra palafrenieri impazziti dietro cavalli alati, corni fatati e via discorrendo.
Tra gli abitanti in quel paese c’era anche chi pur non essendo nobile poteva partecipare alle battute di caccia reale nelle riserve ove viveva la selvaggina più varia, chi era ammesso alle feste intorno ai trofei più belli che finivano imbalsamati e collocati in un‘ala del castello o costituivano le decorazioni più ambite nelle dimore dei più fortunati o coraggiosi.
I giorni di caccia erano di festa. La gente si assiepava sul ciglio della strada per veder passare il corteo di lussuose dame e cavalieri seguiti da servi e da cani e ne aspettava il ritorno per ammirare gli animali abbattuti. Allora si mangiava, si beveva, si brindava.
Un giorno giunse nel porto una nave dall’oriente carica di merci preziose e rare. Sulla banchina si parlò di città favolose, di usanze strabilianti ed anche delle ricche cacce nelle foreste di quei paesi lontani. La cosa giunse all’orecchio del re che si travestì da mercante per ascoltare con le proprie orecchie quelle meraviglie temendo che al suo cospetto i racconti potessero essere alterati. Quando ritornò alla reggia aveva con sé una piccola borsa.
Appena fu sul trono il sovrano fece venire i battitori e i capocaccia di fiducia a cui ordinò che fosse in breve tempo preparata una battuta di caccia al cinghiale. Intanto la voce si sparse e non furono pochi quelli che aspettarono il ritorno dei cacciatori. Figuratevi quale fu la meraviglia quando si videro ritornare i cacciatori a mani vuote.
Si parlò e si disse ma nessuno seppe come mai ogni animale ferito o catturato quel giorno fosse riuscito a fuggire. Per far spegnere le chiacchiere fu organizzata in grande stile una battuta di caccia al falcone nella quale non vi sarebbero potute essere sorprese dato che il regno aveva i più bravi falconieri che addestravano i falchi più rapaci. E non solo per questo quel paese andava orgoglioso per l’arte della falconeria.
Il corteo fu più sfarzoso del solito e richiamò molta gente ad ammirare le belle dame che sedute nei carrozzini da caccia tenevano sul pugno, protetto da un grosso guanto, i falchi con alla zampa il prezioso anello di casa reale. Si ammirarono i grossi rapaci con la testa chiusa in un cappuccio di velluto tempestato di pietre preziose.
Per tutto il giorno le foreste e i boschi echeggiarono di suoni e di latrati, per tutto il giorno quei rapaci famosi nel regno e fuori fallirono Ogni volta che artigliavano un volatile l’animale riusciva a fuggire, pur sanguinante, dagli artigli adunchi. A sera i carnieri ritornarono vuoti.
Il re non si arrese e organizzò una caccia alla volpe in una zona si recente ripopolata ma il risultato fu il medesimo.
Nel regno cadde un gran silenzio come di morte. Nessuno osava neanche fare un’allusione per paura di subire le ire del re ma era chiaro che i discorsi fatti in sordina avevano un unico argomento.
Il sovrano, preoccupato che la cosa si diffondesse anche fuori del regno, ordinò che non si parlasse più di caccia e che nessun cacciatore uscisse di casa. Poi mise di guardia alle foreste e ai boschi i suoi uomini armati fino ai denti.
Intanto non si dava pace. Pensa e ripensa decise di andare alla ricerca del forestiero venuto dall’Oriente e partì lasciando il regno nelle mani della regina madre.
Cerca qua, cerca là un giorno giunse in un bosco tanto folto che era buio anche col sole a picco, in fondo al quale trovò un uomo che sapeva tutto sugli animali e sull’arte della loro cattura. Appena costui ebbe guardato nella borsa del re chiese di parlare da solo al sovrano. Il seguito salì a cavallo e aspettò fuori. Quando il re uscì dalla casupola tutti presero la via del ritorno. Giunti che furono alla reggia il re andò a chiamare palafrenieri e guardiacaccia e dette precise istruzioni. Il giorno dopo alla battuta di caccia parteciparono solo pochi fidati, né altri seppero alcuna cosa. Quando furono in un bosco abbastanza isolato il re dette il via ai battitori. Fu subito segnalato l’avvistamento di una gazzella e l’animale fu raggiunto da un bel colpo di balestra. Un "ahi, ahi" accompagnò il pianto accorato dell’animale che fuggiva via.
Intanto un altro battitore aveva imprigionato una cerva in un cespuglio. Anche questa fu ferita da un preciso colpo. - Povera me, come faranno i miei figlioletti - gemette l’animale che da poco aveva messo al mondo una bella nidiata e fuggì via lasciando una scia di sangue.
- Maestà la seguiamo ? - chiesero i palafrenieri.
- No, proviamo ancora - .
Fu la volta di un capriolo. Anche per lui ci fu un ben assestato colpo. - Ahimè, come farò ora a riparare la mia tana che minaccia di crollare? - . E fuggì via.
- Maestà.... - esclamarono i fedeli meravigliati.
- Si, ho visto ed ho sentito, ma voglio altre prove - .
Tutte le volte si ripetette la medesima scena. Ogni animale catturato o ferito era al centro di un mondo insospettato, ognuno era utile a qualcuno o a qualcosa cui la cattura avrebbe provocato un danno. Il re e i suoi fedeli non avevano più bisogno di provare.
- La caccia è l’attività principale dell’uomo! - .
- È servita per la sua sopravvivenza! - .
Gli astanti si strinsero intorno al re che sedeva su un ceppo al margine di una radura.
- Le terre sono nostre - . 
- Abbiamo potere su tutto ciò che vive in esse - .
- Via queste idee strambe! - .
- È un diritto delle famiglie nobili - .
- Non dobbiamo farci influenzare da questo sortilegio - .
Le voci dei suoi fedeli giungevano al re affievolite perché nella sua mente passavano altre immagini perché l’egoismo degli uomini, il suo, convalidato dalla consuetudine e addolcito dal piacere, non faceva vedere.
.
Il re torna al suo castello
col pensiero illuminato:
tutto ci che a noi par bello
che sembra approvato
ha una propria dignità
che rispetto per sé vorrà.
 
.

 

 

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