Fiabe

 

 

Albarosa

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C’era una volta una figlia di re tanto bella che ogni principe era invaghito di lei.
- Mi sposerò quando verrà l’amore - diceva però la ragazza ai genitori che le chiedevano di decidersi per uno dei pretendenti.
La regina allora chiese consiglio ad un vecchio saggio suo amico. Costui non sembrò entusiasta, disse che l’amore era governato da un dio esigente, che la vita era diversa dalle favole, così e colì, e nel parlare guardava lontano.
La donna vide pertanto con treidazione l’incontro della figlia con un principe venuto dall’Oriente.
- Riconosco l’amore - disse la principessa.
- È l’amore - confermò il vecchio con un sospiro.
Erano già state fissate le nozze quando il re si ammalò e nessun medico seppe guarirlo.
- Per la malattia del re non servono né erbe, né medici, ci vuole in cambio qualcosa di prezioso e di raro - disse il vecchio ancora più triste.
Si cercò e cercò, furono portate da ogni parte del regno le cose più rare e più belle. Inutilmente. Il re peggiorava di giorno in giorno.
- La cosa preziosa di cui non esiste l’eguale è l’amore che porti al tuo promesso sposo - disse il vecchio alla principessina che amava molto suo padre. La ragazza accettò il cambio e il principe se ne ritornò donde era venuto.
Il re stette subito bene ma sul viso della principessina non sorse più il sorriso. Come si sa la vita non si ferma dinanzi ai dolori neanche per le principesse, costei infatti per dare l’erede al trono dovette sposare un principe che naturalmente non amava. La prima notte di nozze sentì in sogno una voce lamentosa che ripeteva : - Nascerà principessa, ma dovrà piangere la sua sorte - . Dopo nove mesi nacque infatti una bambina dai colori del cielo all’alba e fu chiamata Albarosa. La regina la vedeva crescere vispa e dolce, ma si rattristava pensando alle parole udite in sogno. Andò ancora dal vecchio.
- Il destino non si può cambiare. Albarosa possederà ciò che non è e dovrà lasciare ciò che è - disse l’uomo. - Tu però puoi fare qualcosa per lei - aggiunse e le spiegò tutto.
La donna si mise subito all’opera.
Quando Albarosa fu in età da marito scelse per sposo un compagno di giochi. - Non ha l’amore - pensò la regina - ma non è infelice - e continuò a fare ciò che aveva detto il vecchio fino a quando giunse la sua ora.
Era appena finito il periodo di lutto prescritto per i reali che il regno fu devastato da una terribile guerra. Gli uomini partirono e non tornarono più. Albarosa accolse nella sua casa coloro che la guerra rendeva bisognosi di cure.
Un giorno arrivò un uomo così mal ridotto che fu giudicato senza speranza di salvezza. Quella notte Albarosa sentì venire da lontano un canto dolcissimo, ma per quanto facesse non riuscì a capirne la provenienza. Le sembrava la voce dei morti portata dal fiume o quella che risale dal mare come il luccio fino alle calme acque del lago. Al mattino si recò dal moribondo, gli pulì il viso dal sangue e dal fango, lo avvolse in panni caldi. Quando lo lasciò i brividi si erano calmati. La sera la donna ascoltò di nuovo il dolcissimo canto. Il giorno dopo ritornò da lui e quando se ne andò s’accorse che il respiro era divenuto regolare. Dopo qualche giorno la febbre calò. Il canto a sera era sempre più dolce.
Un giorno l’uomo aprì gli occhi ed Albarosa li vide come pieni di nebbia, poi l’uomo disse qualche parola, ma la mente era vaga come alla ricerca di pensieri andati chissà dove. Albarosa lo curò e lo curò ancora e desiderò che non andasse via, ma l’uomo volle partire alla ricerca di quei pensieri.
Cammina, cammina un giorno capitò in un paese tanto piccolo che non era scritto su nessuna carta e qui c’era un vecchio tanto vecchio che s’era stancato di contare i suoi anni, ma aveva chiara la memoria. Costui raccontò all’uomo la storia di suo padre, il principe venuto dall’Oriente e della principessa, madre di Albarosa, che aveva rinunciato al suo amore per salvare suo padre. Mentre il vecchio procedeva nel racconto la mente dello smemorato si snebbiava e questi ricordò della guerra e della sua sposa, e desiderò di andare a corte dove lo attendevano i doveri di erede al trono.
Trovò il regno in gran trambusto per la fine della guerra e in lutto per la presunta morte del principe ereditario. Tutto si tramutò in una gran festa con sventolar di bandiere, con banchetti e tornei. Fu persino concessa la grazia ai prigionieri di guerra. Tra questi il principe riconobbe colei che gli aveva salvato la vita.
È inutile dire che la principessa Albarosa fu accolta con tutti gli onori dovuti al suo stato ed è inutile dire che restò a palazzo come dama di compagnia della sposa del re.
La vita a corte riprese normale, solo a sera quando Albarosa si ritirava nel suo appartamento si sentiva un canto così melodioso che persino gli usignoli si fermavano ad ascoltare, appena però qualcuno bussava alla porta il canto cessava e il giorno dopo la donna non sapeva dir niente.
Intanto la cosa cominciò a correre di bocca in bocca e incuriosì tanto il re che andò dal vecchio che non contava più gli anni e gli disse della principessa che gli aveva salvato la vita e del canto che a sera veniva dalle sue stanze.
- Albarosa deve lasciare la tua casa - disse il vecchio e raccontò la storia della principessa e del suo destino.
- Dalle questo gomitolo che ha filato per lei la sua mamma - concluse e sembrava stanco di aspettare qualcosa.
L’uomo ringraziò e fece ciò che aveva detto il vecchio, ma appena Albarosa fu nella strada il gomitolo le cadde di mano e cominciò a srotolarsi, e la donna dietro. Srotola, srotola, giunse in riva al mare. La donna si guardò intorno e vide, là dove finiva la sabbia, una casetta.
Bussò.
- Ti ho aspettato - disse il vecchio saggio che non contava più gli anni. - Ora finalmente posso andare qui c’è bisogno di te - .
La donna si mise subito all’opera. C’era da preparare le reti per gli uomini che a sera prendevano il largo e poi al mattino da sistemare il pesce nelle ceste per il mercato, c’era da badare a quello che stava a seccare e c’erano ancora tanti lavori.
Di tanto in tanto Albarosa alzava gli occhi sulla distesa azzurra e qualcosa si distendeva anche dentro di lei. All’imbrunire s’intratteneva con le donne che avevano accompagnato gli uomini, accendeva un grande falò perché fosse un segno per quelli ch’erano sul mare. Nella calda luce di quel fuoco mentre il cielo diventava tutt’uno col mare e le stelle si confondevano con le lampare, le donne si scambiavano le loro storie. Albarosa avvertiva che qualcosa usciva da lei insieme ai suoi racconti e qualcosa entrava insieme ai racconti delle donne.
Poi la notte, quando ogni casa era avvolta nel silenzio, un canto stupendo portato dalla brezza sfiorava appena il paese, il fiume, il monte e s’innalzava solenne.
 
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Va’ lassù, canto gentile,
in te narra un cuore umano
un amor che non è vile.
Va’ lassù porta per mano
le chimere, le più belle
nella casa delle stelle.

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