Lectura Dantis

 

L'impronta di padre Salvatore Floro Di Zenzo in un ciclo di Lecturae Dantis da lui diretto

 

La Commedia come ricerca del sacro perduto

L'Irpina ha una Lectura Dantis che quest'anno ha concluso il primo ciclo triennale. L'ha organizzata l'associazione culturale, "Accademia Solofra" nella stessa cittadina irpina. L'attività, nata in sordina, ha avuto un importante sviluppo, tanto che quest'anno è stata trasferita nel capoluogo irpino.

Merito va ai valenti studiosi, che ne hanno fatto parte, ma soprattutto al Direttore del corso, il monaco francescano padre Salvatore Floro Di Zenzo, dotto medievalista, lettore e studioso di codici, un dantista che ha dato agli studi sul Poeta una spinta considerevole in senso di recupero delle fonti, tra cui quelle arabe e che si batte affinché "si cambi la lettura di Dante per far amare Dante".

Dall'Università di Salerno il Di Zenzo confronta i suoi studi con quelli dei maggiori dantisti internazionali e li consolida nei suoi frequenti viaggi all'estero, ospite delle maggiori università dove il poeta fiorentino è conosciuto meglio che in Italia perché il nostro deteriore dantismo ha nascosto il vero messaggio della Commedia. Proprio in questo suo vagabondare il Di Zenzo riscoprì quell'unico codice palinsesto della Divina Commedia, il Phillips 9589, che ora è studiato da un'equipe internazionale a Ravenna e "serberà delle sorprese", dice il Nostro, "perché è l'unico che presenta delle varianti".

Il Di Zenzo ha dato la sua impronta alle "Lecturae" dantesche irpine, che hanno registrato non poche novità nella conoscenza di Dante, sintomo di quella universalità propria della Commedia. Dirigeva, infatti, la Lectura Dantis solofrana nel 1985 quando annunziò l'interpretazione di due oscuri versi dell'Inferno, quelli della invettiva di Pluto del canto VII e le parole dì Nembrot del canto XXXI. Le interpretazioni dizenziane, proprio perché convincevano, causarono un grande interesse suscitando molte discussioni perché mettevano in ginocchio tutta la critica dantesca di secoli e "scomodavano parecchi santuari del dantismo".

Gli stessi incontri solofrani hanno registrato un'altra importante interpretazione e questa volta fatta da uno dei relatori, uno studioso rigoroso, di provata serietà culturale, il direttore della rivista culturale "Riscontri", l'irpino Mario Gabriele Giordano nel commento al canto X dell'Inferno, pubblicato poi in quello stesso anno nel n. 1-2 della citata rivista. Le studioso ha dato una convincente interpretazione del "cui" del disdegno di Guido che ha suscitato l'attenzione degli specialisti facendo entrare di colpo il Giordano, come dice lo stesso Di Zonzo, nella critica letteraria dantesca più accreditata. La stessa autorevole "Rivista di studi e problemi di critica testuale", ha sottolineato l'interpretazione giordaniana secondo la quale oggetto del disdegno di Guido sarebbe Dio stesso e non Virgilio o Beatrice, come comunemente si crede, per cui il canto non si, configura accentrato su Farinata, e costituisco, in un clima di forti ed accattivanti passioni, una decisa riaffermazione del carattere escatologico del viaggio di Dante.

Gli apporti maggiori si sono avuti quest'anno durante gli incontri dell'ultima cantica. La relazione introduttiva del Di Zenzo conteneva infatti il frutto dei suoi ulteriori studi su Dante, e nelle grandi linee tracciava ciò che lo studioso in modo più circostanziato e preciso andrà a dire ai tecnici degli studi danteschi a Fulda in Germania, ove sarà a *novembre chiamato in quella Università anche per studiare importanti codici che dovrebbero mettere ordine nel problema delle rime dubbie di Dante. Le medesime cose il Di Zenzo dirà a San Paolo del Brasile e in America del nord "proprio perché avendo provocato un terremoto nella critica dantesca quegli studiosi vogliono sapere dalla sua bocca cosa ha cambiato su Dante".

In effetti il Di Zenzo non ha cambiato nulla, egli toglie solo ciò che di spurio durante i secoli era stato aggiunto a Dante.

Seguendo la corretta via secondo la quale un'opera deve essere spiegata con l'opera stessa lo studioso dallo stesso Dante prende la definizione della Divina Commedia, "lo sacrato poema" del ventitreesimo del Paradiso. Su questo participio s'appunta la riflessione del Di Zenzo, che fa rilevare che nel Medioevo i libri sacrati era quelli messianici, delle grandi profezie, libri che contengono qualcosa da rilevare, in questo caso un messaggio di salvezza. La Divina Commedia è dunque una ierofania e tutte le altre arti sono al servizio di questa manifestazione del sacro, ma un sacro inteso in senso universale. Allora il poema sacro, sacro come aggettivo, riferentesi al genere letterario si amplia per comprendere tutti gli uomini, poiché la scoperta del sacro, il viaggio a Dio è possibile a tutta l'Umanità.

La terza Cantica è quella parte in cui avviene questa manifestazione del sacro, attraverso la luce che diviene punto ruotante, in cui ritrovare il sacro significa anche ricomporre quell'equilibrio tra centro e cerchio rotto dalla disubbidienza di Adamo. Cosi il problema di Adamo che nell'Eden aveva perso il senso del sacro e che è al centro di tutta la problematica medievale, è anche al centro della Commedia, la quale, nell'articolazione delle sue Cantiche, si configura come un itinerario per la conquista del sacro tradito.

Questo itinerario avviene, continua l'esimio medievalista, attraverso il tempo medioevale inteso nelle sue tre dimensioni di cronos tempo di caduta, di perdita, di viaggio verso la morte, ed abbiamo l'Inferno, ove tutto è perdita, e, soprattutto, ove l'uomo perde gradatamente le caratteristiche proprie per un peccato che lo deforma dal di dentro fino alla glacialità della Caina, la non vita. Ma la morte viene vinta dalle forze dello spirito, del tempo di cairos, tempo dell'attesa, tempus gratiae del Purgatorio, che è una graduale riconquista, scandita dalle presenze femminili, indici di vita. L'itinerario dello spirito verso il sacro continua ed ecco il tempo di aion, pienezza del tempo. In questa pienezza Adamo viveva e in questa pienezza ritorna, per cui nel Paradiso si ricompone quell'equilibrio rotto tra centro e cerchio, in una ontologia del centro che non può smarrire il cerchio.

Il senso profondo del sacrato poema delinea un'epifania dello spirito che può innalzarsi sulla scala assiologica sublimando le forze della materia fino a cogliere il sacro, che è godimento intellettuale, luce ineffabile. in cui si svela anche il mistero di Cristo.

Per questo significato pieno la Commedia diventa il libro per eccellenza, inteso come "sfera il cui centro è dovunque e la circonferenza è all'infinito". Un vero libro, dice il Di Zenzo, non è quello che procede per vie eccentriche e disegna la circonferenza, ma è quello che trova il centro, proprio come ha fatto Dante nella sua opera. Perciò una sua vera lettura è quella che va dal centro, attraverso la "lectio difficilior", che scende in profondità nel testo per coglierne i valori eterni e di cui il monaco francescano si fa sostenitore.

Questo tipo di lettura è quella che fa scoprire un Dante più vero, più vicino a noi non in senso riduttivo, un Dante che avrà sempre da dire qualcosa, in cui tutti si troveranno coinvolti in prima persona. Lo stesso Poeta usa per la sua opera un genere umile, la Commedia, proprio per essere capito da tutti, perché a tutti si rivolgeva, anche alle "muliercole".

Questo tipo di lettura è quello che fanno "gli esteri", perciò padre Floro cita nei suoi interventi sempre gli studiosi stranieri financo un Bonzo giapponese che di recente gli ha scritto e, parlandogli di Dante, ha detto: "Non è possibile occuparsi dell'esperienza del sacro senza misurarsi con Dante".

Sulla stessa linea s'è mosso il relatore della serata conclusiva, il già citato Mario Gabriele Giordano, che del XVII canto del Paradiso, uno, dice Di Zenzo, dei peggio interpretati dalla critica romantica, desanctisiana e crociana, ha dato una "lectio difficilior", mettendone in risalto i sensi profondi. Il Giordano infatti rigetta come "inaccettabile" la definizione del canto come "canto di Dante" se questo significa "canto della profezia del futuro di un uomo"; esso é, invece da intendersi "canto di Dante" in quanto lo si inquadra in "quell'organismo ideologico e poetico sapientemente articolato" che è la trilogia di Cacciaguida.

Se il XV canto delinea "la fisionomia mitica e sacrale" del trisavolo di Dante, che, investito di "una ideale paternità", diviene un "sacerdote" pronto a "conferire un'alta investitura"; se il canto XVI descrive lo scenario idoneo per tale investitura, una Firenze, in una situazione di ideale concordia di una mitica età dell'oro, in opposizione alla situazione di discordia della Firenze di Dante, una città che, così, si carica di "una dimensione universale" e diventa la "figura di una rappresentazione simbolica" in cui Dante esprime "il suo ideale di ordine civile che nella logica medievale è tutt'uno con l'ordine morale e spirituale di cui egli vuol essere il banditore"; questi due elementi, "il sacerdote" e "il referente storico e insieme metastorico dell'alto disegno" confluiscono, nel canto XVII a fare del Canto di Dante "il canto del profeta che accetta ed assume la difficile funzione di propagatore della verità", termine essenziale del cammino verso il sacro, conferma messianica del destino escatologico dell'umanità. Così il canto XVII insieme ai precedenti diventa veramente "il centro ideale di tutta la Commedia" che "sprigiona quindi una luce che non solo illumina con estrema chiarezza le situazioni e il senso del viaggio, ma, riverberandosi, retrospettivamente su quanto di questo viaggio è già compiuto, ne discioglie dubbi e ambiguità" e conferma la Commedia come sacrato poema.

A riprova di questa missione, approfondisce il Giordano, è la situazione di umiliazione e sofferenza" che soffre Dante e di cui lo stesso poeta "ha lucida consapevolezza". Situazione che è simile a quella di tutti i profeti "costretti ad esperienze dolorose di umiliazioni e persecuzioni", a quella di Enea "profeta laico della missione civile di Roma", a quella dei discepoli, cui Cristo sottolinea la condizione di "sofferenza e rischio" e più di tutti a quella dello stesso Cristo.

"Rapportata a questa missione di nuovo profeta" allora le vicende biografiche di Dante divengono condizione necessaria, rivelazione della straordinarietà della missione universale civile e spirituale del poeta che da "ordinarie e consuete" si trasformano in "straordinarie ed assolute", "presupposto necessario di un'investitura soprannaturale". Il "destino di sventura" diventa "destino di profeta", per cui ormai il poeta, purificato, lontano dai coinvolgimenti personali e municipalistici, ha attinto alle più alte vette della dignità e responsabilità e si può collocare al di sopra di tutti nel giudizio e nella condanna in nome di quella verità di cui Dio l'ha fatto partecipe e potrà esserne lo "scriba" e rendere "intera questa visione".

Così la Commedia diventa il "grido" "del profeta che flagella, ammonisce, indirizza, che minaccia la perdizione, promette la salvezza, che reca negli occhi e nella voce con uguale chiarezza il segno del contingente e dell'assoluto, dell'effimero e dell'eterno, perché ha piena esperienza del cielo e della terra, degli uomini e di Dio".

Abbiamo voluto sottolineare questa lettura perché dà ragione a padre Floro quando dice che l'unico modo di far amare Dante è farne una lettura che colga i sensi profondi che sono quelli che fanno scoprire nella Commedia un "altissimo vademecum spirituale del sacro, forse il più grande in senso poetico", la citazione è di Erich Fromm che continua: "un universale historia salutis mundi rapportata ad altissimi livelli di dettato linguistico, un miracolo di letteratura, un libro sempre giovane, sempre nuovo, sempre attuale. Siamo noi che siamo diventati vecchi" e padre Floro fa eco "spiritualmente vecchi".

 

(1988)

 

 

 

La "Lectura Dantis" Metelliana di Cava dei Tirreni ha raggiunto quest'anno un importante traguardo nella pubblicazione del suo primo volume presentato in occasione dell'apertura di del ciclo di "letture" quest'anno che si svolgeranno nei martedì di ottobre e di novembre di quest'anno nella stessa cittadina.

Il volume, intitolato "Dante e il francescanesimo", raccoglie le letture fatte, in occasione dell'VIII centenario della nascita dal santo di Assisi, da studiosi che infangano la complessa relazione tra l'Alighieri e il movimento che fa capo a San Francesco, e, al di là della diversa impostazione metodologica e della varietà dei problemi affrontati, assolve il proposito di "intendere la voce di un poeta, voce straordinaria, nata da un intenso lavoro di spirito, che si accosta in perpendicolare alla profondità spirituale del santo". La relazione tra i due grandi è vista, quindi, in un significato pieno in cui il santo si configura come la "guida totale" perché spirituale, che include in sé Virgilio e Beatrice, influente sul poeta più di tutto, compreso il tomismo.

È proprio il significato profondo che il francescanesimo ebbe nella dantologia ad aver indotto a privilegiare questo argomento su tutti quelli trattati.

La pubblicazione esprime altresì e soprattutto la realtà di un fatto culturale di notevole rilevanza, appunto la Lectura cavese che nei suoi 14 anni di vita si è imposta all'attenzione degli ambienti culturali.

La Metelliana fu fondata nel 1974 quando in Italia c'erano solo tre "Lecturae Dantis", quella di Ravenna, di Firenze e di Roma e fu una coraggiosa iniziativa pur in una cittadina che sente la cultura come forza spirituale forte li un'antica tradizione vissuta all'ombra della sua Abbazia.

Fu impostata sul modello delle consorelle fiorentina e romana col commento progressivo di tutti i canti della Divina Commedia e con l'intento di "diffondere in termini critici e divulgativi insieme, i contenuti storico morali ed i valori estetici del poema trecentesco".

Ad essa si rifanno altre Lecturae sorte nel frattempo nella zona, quella napoletana di S. Chiara, diretta da P. Giannantonio e la pompeiana diretta da P. Sabbatino, infine la più giovane con soli tre anni di vita la Lectura Dantis solofrana diretta da Padre Salvatore Floro Di Zenzo, quattro solo in Campania, le uniche in tutto il meridione, mentre nel resto d'Italia sono rimaste le tre citate e mentre molte altre sorte in città anche universitarie sono state solo tentativi estintisi rapidamente. 

Per il valore acquisito merita, la Metelliana, un pò di attenzione da parte nostra e lo facciamo citando i fondatori Ferdinando Salsano, padre Attilio Melloni che ne sono direttore e presidente e Agnello Baldi, amministratore e segretario.

 Dal 1974 al 1978 le Lecturae si svolsero presso il Convento di San Francesco di Cava per passare, poi, nel salone del "Social Tennis Club" di Cava.

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La storia della Lectura Dantis solofrana

attraverso alcuni articoli sul periodico “Il ponte” di Avellino

Il primo ciclo

Con la Lectura Dantis l’Accademia Solofra tenta un campo nuovo e certo non facile, un discorso culturale che potrebbe dare molto lustro alla nostra cittadina e riallacciarla alla sua antica tradizione quella dei Giliberti, dei Fasano, dei Troisi, dei Landolfi per citare solo alcune glorie locali.

Niente manca a Solofra perchè divenga un centro di cultura notevole come lo è nel campo industriale. La nostra cittadina ha una base culturale estesa, nei tanti giovani che frequentano le scuole superiori di ogni ordine, negli universitari, nei professionisti e in tutti quelli che, pur non direttamente interessati, e per questo maggiormente meritori, sentono la necessità  di corroborare il loro spirito con il cibo che “saziando di sé, di sé asseta. Su questa base si può innestare un discorso culturale di elevato livello che non potrà non avere i suoi contraccolpi anche nel campo economico e migliorare la società in cui viviamo.

A questa ampia fascia culturale si rivolge l’Accademia Solofra con il proporre un ciclo di letture, quest’anno, sulla Cantica dell’Inferno, e poi, se ci sarà un buon assenso, anche sulle altre Cantiche, su questioni dantesche e su altri argomenti culturali.

Gli incontri programmati, sette, saranno tenuti da valenti dantisti e diretti dal chiarissimo professore padre Salvatore Floro Di Zenzo, docente di Letteratura italiana nell’Università di Salerno. Avere padre Floro come direttore del ciclo dà a questa attività un grande valore poiché l’alto livello culturale del monaco francescano è universalmente riconosciuto. Padre Floro è un grande dantista e medievalista, ricopritore fortunato dell’unico codice manoscritto palinsesto Phillips 9589 della Divina Commedia, custodito ora gelosamente nel Centro dantesco di Ravenna. Per avere un segno del valore di questo ritrovamento basti pensare che risale al XIV secolo e che lo stesso Giorgio Petrocchi per preparare la Vulgata della Divina Commedia lo cercò a lungo e invano ritenendolo di fondamentale importanza. Padre Di Zenzo è giustamente orgoglioso del frutto dei suoi studi, per questo è richiesto in tutti i paesi del mondo (di recente è stato negli Stati Uniti) dove Dante si studia bene ed è considerato un autore fondamentale.

Questo dantista così valido, che abita a due passi da Solofra, a San Biagio di Serino, ogni giovedì sarà tra noi alla Biblioteca Comunale alle ore 18,30 a dirigere gli incontri programmati. Una fortuna più grande non ci poteva capitare, un’occasione che non possiamo perdere.

Questo i solofrani lo hanno capito ed hanno affollato la prima seduta di giovedì 11 aprile. Erano in tanti e tra questi i giovani, belle speranze solofrane, le forze portanti della futura società, questi giovani che sentono che non si vive di solo pane e che accanto alla “cultura del lavoro e del reale” c’è anche quella dello spirito, anch’esso reale, che dà sostegno e lievito al quotidiano.

La buona accoglienza fa bene sperare nel prosieguo della iniziativa così finalmente non si dirà che a Solofra “langue la cultura” e che siamo insensibili a ciò che eleva lo spirito.

La “Lectura Dantis di Solofra potrà diventare una prestigiosa tradizione sul solco di altre già famose, potrà ripetersi ogni anno e già Padre Floro ha in mente di invitare altri esimi dantisti per questo prosieguo.

Tutto il ciclo è stato dedicato a mons. Mariano Vigorita, per tanti anni primicerio della Collegiata di S. Michele Arcangelo, grande affettuoso amico della nostra Solofra della quale auspicò sempre l’elevazione spirituale che solo dal culto del sapere può venire. Nel ricordo di questa anima nobile che tutto se stesso diede ai suoi filiani e che tanto immaturamente ci fu tolta noi vogliamo inaugurare questo salto di qualità che vuol fare la società solofrana (1985)

 

Il secondo ciclo

La Lectura Dantis 1986, una valida esperienza che si ripete

 

Torna quest’anno la Lectura Dantis organizzata dall’Accademia Solofra. Dopo la buona riuscita degli incontri danteschi tenuti l’anno scorso si ripete l’esperienza con la Cantica del Purgatorio. A dirigere gli incontri sempre il grande dantista  ormai conosciuto in tutto il mondo per validi studi e prestigiose scoperte nel campo, Padre Salvatore Floro Di Zenzo.

I relatori, tutti valenti studiosi del poeta italiano, si alterneranno secondo un nutrito calendario.

Noi non possiamo fare altro che plaudire a questa iniziativa che offre alla nostra cittadina un’attività culturale di vero prestigio. In provincia non ci sono esperienze del genere, in Campania solo poche; dobbiamo, quindi, sentire tutto il prestigio che una Lectura Dantis dà a Solofra e sostenerla con la nostra presenza.

Il nostro paese in campo economico si è mostrato aperto a tutte le innovazioni di valore. è all’avanguardia proprio per aver avuto mentalità né grezza né paurosa. Proprio per questa solofrana capacità  di discernere ciò che è valido ed utile noi siamo sicuri che Solofra comprenderà l’importanza di far diventare tradizione un’attività culturale che molti ci invidiano.

La nostra sicurezza nasce dal fatto che già l’anno scorso abbiamo visto agli incontri presenze incoraggianti a continuare su questa strada. Ci siamo resi conto che i nostri giovani hanno capito che la cultura è l’unico mezzo che non solo realizza l’uomo nella sua autentica forma ma anche rende capaci di gestire nel migliore dei modi il nostro “mondo economico”.

L’uomo economico prende consistenza, si regge, vive, avanza solo in simbiosi con l’homo sapiens.

Conquistare e difendere un patrimonio culturale è l’atto più ragguardevole che possa fare l’uomo in quanto tale. Abbiamo visto l’anno scorso agli “appuntamenti danteschi” gli adulti consci di dover, con la loro presenza, sottolineare la solidarietà verso un’attività che completa la nostra cittadina.

Nella sua storia Solofra vanta momenti culturali di ampio respiro con rappresentanti che si fecero onore in campi prestigiosi del sapere, che ricoprirono ruoli di grande responsabilità. Abbiamo un passato pregevole la ignoranza del quale si colloca nel più ampio quadro del nostro non ben conosciuto sud. Non possiamo noi tradire questo passato, né rimanere impreparati per il futuro che si configura complesso e difficile. (1986)  

 

L’Accademia Solofra fu costretta a trasferire il terzo ciclo ad Avellino nella sala G. Dorso della Biblioteca Provinciale, poiché l’Amministrazione Comunale di Solofra, diretta dal Sindaco dott. Daniele Santoro, non dette il permesso per usare la Biblioteca Comunale per le conferenze come era avvenuto nei due precedenti cicli. Avremmo dovuto usare un corridoio della locale Scuola elementare che per giunta non era fornita di sedie adatte. C’erano per il pubblico del prestigioso corso dantesco le sedie dei piccoli allievi.  

 

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