Per vie irte ed azzurre

 

V

 

 

Natura sacra e pia

 

 

Uno dei fenomeni più straordinari e potenti dell’uomo è l’hurselliana entropia che permette l’accesso alla vera vita dell’uomo, la dove avvengono quelle costruzioni delle quali ogni atto umano è espressione non palese e chiara; un accesso possibile, però, solo a certe condizioni.

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Ferma corazza nasconde la fiamma
che vive
perché nei boschi
bruciano i ceppi di terra
 
eterea s’alza la vita
 sulle chiome.
 
Per tutti c’è una livrea d’intorno
per tutti un inganno di trame
 
e si celano i fili che portano al fondo.
 
Ma c’è un fuoco fratello a quel fuoco
che sa aprire la via
pari ad un fascio di luce nell’ombra,
c’è un fratello che va
dove vive il fratello
 
e non s’ammanta di frasche
non è sullo stelo la voce iridata
non conosce riposi dorati
 
è solo
ma vive
ma cresce
 
mistero profondo.
 
E c’è una luce che ha tanti occhi
ognuno senza le bende
fugge il buio dai buchi più cupi
l’incerto s’appaga
se sol si trasmuta
 
e una musica c’è che s’intona
a quella che dentro risuona
e mille e mille voci spiegate
cantano in coro
 
e s’apre tutt’intera la trama.
 
Io non so
perché essa sta tutta nelle mie mani
non so
perché il mio pianto asciuga il suo ciglio
ma vedo ch’è mondo il serto di rose
che ho fatto con le mie mani
 
mistero profondo.
 
Quel fuoco la luce la nota
son l’azzurra forza infinita
perciò mi conducono su per la via
e io entro pudica
non calpesto i fiori né l’erba
solo il ciglio accoglie il mio piede devoto
 
cheta acqua che s’informa  al terreno 
io sono.
 
Viva natura e vera
al di là della spalliera
dove mille s’adagiano fiori
il pampino d’uva
un raspo di more
una viola
che dal profumo s’avverte.
 
Ed io son là con l’aurora
lambita dai suoi calmi colori
col meriggio di fuoco
e la notte
misteriosa
nascosta.
 
Insieme al velluto del lido
ascolto
il lungo segreto del mare
perché s’adegua alla costa
e la penetra tutta
ma anche l’assale
perché l’acqua va con la rena
nel rotear della spuma
e si cheta 
giammai.
 
S’apre il boccio 
all’insistenza dell’onda
ignaro
inevitabile
sfregio,
la mia corolla
dal disteso mugghiare del vento
atterrita, 
e io fuggo
dall’eco
inseguita
 
come il frigio re anch’io prigioniera.
 
Ma mentre corro, bianca puledra,
lungo quel mare
zefiro pone la sua dolcezza
nelle mie nari
perch’io giunga coi suoi destrieri
su fino a Giove.
 
E incontro un rivo fanciullo
che va per la china
la voce alla valle al piano al mare
piovono perle di sole nelle sue acque
sorride la luna
ma
il cielo nemico massacra le onde
a grano 
a grano
il monte sfarina
tutta la rabbia delle sue ore
piange la sponda
il piano s’inonda,
ma
c’è un poggio rupestre
che quell’acqua circonda.
 
Lascia ch’io vada
dove ha inizio la danza
di ninfe e di veli
ch’io veda
delle zolle il vapore di sterpi
ch’inarida il prato al passo
che più non segue la lira
perché i piedi di luna
son diventati
artigli
d’arpia
nei miei occhi a brandelli.
 
Lascia ch’io vada
su per i monti
e lassù nella chiesa ch’io prega
 
Là c’è un sentiero
che rompe l’ascesa
ed un bosco
sotto un manto di foglie
 
la siepe ha invaso il percorso.
 
Io porterò la mia duda
ma ho solo le mani
e un mai stanco respiro.
 
Profonda natura e bella
per lo strazio esteso
dei solitari tramonti
che non sanno se nell’erèbea bruma
per sempre annega
la luce che li abbandona,
e misteriosa
perché nelle notti lambite d’argento
sfumano anche le stille di luna
che Pan amante in un fiore raccoglie.
 
Natura sacra e pia
perché conosce i nembi di Giove
e la voce del sole.
 
A questa natura io dono 
il mio serto di fiori.
 
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