Racconti 

 

 

Le idee che non ci sono

 

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- Come? Non ho sbagliato? Perché non ci sono correzioni? - .

Le parole esprimevano meraviglia mentre sul viso si disegnava una timida speranza. L’insegnante lo guardò. Gli occhi si incontrarono, gli uni indagatori, gli altri pieni di una domanda che cercava una certezza, scacciando la paura di trovare nelle parole un’oscura motivazione al fatto che sul suo compito non ci fossero i soliti segni.

- Perché sei così sicuro di aver sbagliato? -. La voce rassicurante lo calmò.

- Ho sempre sbagliato...", rispose andando con la mente alle correzioni con le quali l’insegnate ogni volta riempiva la parte bianca del foglio ove erano scritti i suoi compiti. Non ricordò d’avere fatto un compito senza correzioni, senza quelle altre frasi che dicevano che le sue non erano buone, che aveva sbagliato.

- Invece hai fatto bene - , stava dicendo l’insegnante - sono giusti questi pensieri - .

I ricordi si interruppero per un momento su queste parole incredibili tanto incredibili che Mario disse con forza: - Ma non si dice in un altro modo? - . Nella mente il - non si dice così - che accompagnava le correzioni ridivenne un ritornello che rimbalzava contro un muro, si incontrava con il seguente creando un confuso ronzio.

- Questo è il tuo modo di dire. Queste sono le tue idee, quelle di un ragazzo di dieci anni, e vanno bene - .

- Le idee di un ragazzo di dieci anni? Sono buone le idee di un ragazzo!…. le sue! - Questo gli sembrava veramente strano. Ed era bellissimo. Aveva sempre pensato che solo i grandi avessero le idee giuste e che i ragazzi fossero costretti ad inseguirle, invano. Per lo meno a lui non era mai riuscito perché se se ne impadroniva di una, questa diventava subito sbagliata o perché non l’aveva compresa o per incapacità delle parole. Le parole infatti erano dispettose con chi cercava di inseguirle, si divertivano a giocare a rimpiattino nella mente dei ragazzi, a sparire nel momento in cui essi avevano bisogno di loro per esprimere le idee dei grandi.

Ora tutto veniva capovolto per cui azzardò: - Le vostre idee sono come le mie? - .

- Certamente. Io ho le idee di una persona adulta e le esprimo da persona adulta. Quando sarai grande avrai anche tu le idee da adulto. Il valore delle tue idee è dato dalla tua età - .

L’insegnante sorrideva scambiando per ingenuità quella che invece era un’autentica e straordinaria scoperta per Mario che veniva a sapere di non essere più costretto ad inseguire le idee dei grandi, anzi che ne aveva delle proprie. A questa scoperta se ne aggiunse un’altra che s’introduceva in lui con la leggerezza di una piuma e cioè che non sarebbe stato più costretto a rincorrere le parole perché le sue idee erano già fatte di parole. Idee e parole erano come un frutto in cui polpa e buccia crescono insieme. Si, come un frutto saporito, le sue idee erano buone ed erano sue.

Quel giorno uscendo da scuola gli sembrò d’essere diventato più leggero tanto che non gli pesò la salita fatta tutta d’un fiato nell’aria luminosa di quella calda giornata d’ottobre. Correva verso casa pensando alle idee che aveva in testa. Quante ce n’erano! Chissà se anche quelle erano buone! Desiderò controllare e si rammaricò che avrebbe potuto farlo solo fra qualche giorno.

- Vedi che sono buone le tue idee. Bravo! . L’insegnante sembrava divertirsi, per Mario invece il controllo era riuscito.

L’elogio girò come un mulinello nella testa del ragazzo durante tutto il pomeriggio. Aveva fatto la solita partita nello spiazzo dinanzi alla chiesa e quando era stato costretto a fermarsi insieme al pallone, quella frase gli era ritornata frammista a un dolce piacere.

Riprovava la stessa sensazione mentre il calore del corpo diffondendosi sotto le coperte, creava intorno a sé un gradevole tepore che si confondeva con quello che aveva avvertito tutto il pomeriggio e che ancora era dentro di lui. Pensò con gusto che aveva delle cose proprio sue e che non erano da sostituire con altre.

Ricordò le idee che era costretto ad inseguire, che rubava e di nascosto appuntava sulla copertina del quaderno ma che erano sempre senza parole, come nude. Le idee nude non sono comprensibili, sono come invisibili, scompaiono, non si possono riscrivere né ripetere. Le vide buie. Le sue idee invece erano luminose, chiare e visibili: le vedeva anche senza che fossero scritte. E l’insegnante diceva che erano buone. Si addormentò in mezzo a tanta luce.

- Tu sei bravo! Non ci credi ma sei bravo! Continua così! - .

Mario rimase col viso leggermente levato verso l’insegnante, il sorriso appena accennato, gli occhi aperti nel vuoto perché la mente cercava di non far fuggire una certezza ormai sicura.

Anche quella sera Mario sentì di avere in testa tante idee, ed erano buone. Sarebbe stato un peccato perderle. Si alzò prese in fondo ad un cassetto un diario avuto in regalo in occasione della sua prima comunione. Lì avrebbe scritto le sue idee. Il lucchetto lo assicurava da giudizi indiscreti. Ma c’era una persona a cui le avrebbe potuto far leggere.

Scrisse e scrisse nella casa che dormiva ignara. Chiuse il lucchetto, depose il diario in fondo al cassetto. Si sentiva leggero e contento ora che aveva messo fuori le sue idee, come se dentro le dessero fastidio. Ed andava col pensiero a quando dopo estenuanti inseguimenti scriveva le idee degli altri. Allora subito si stancava, ed era triste. Quelle idee non lo liberavano perché non erano state dentro di lui.

Si addormentò quasi subito.

 

Gli applausi del teatro elegante e gremito lo fecero uscire dal torpore in cui era caduto a causa del viaggio e del caldo, quando sul video gigante, che era disceso dietro il tavolo della giuria, si disegnò la classifica dei primi cinque al premio letterario nella cui rosa c’era il suo ultimo romanzo.

Il titolo del suo lavoro era al primo posto.

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