Racconti

 

L'incidente

 

 

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Ci eravamo attardati a casa di mia zia, per via della festa dei diciotto anni di mio cugino. Era perciò passata la mezzanotte quando percorrevamo la strada solitaria e in forte pendenza che portava alla superstrada. La guida di mia madre era sicura. Non avevo però fatto i conti con il motore della macchina che cominciò a sbuffare. Mia madre sfruttò la pendenza per raggiungere uno slargo dove fermò la macchina.

La preoccupazione per quell'inconveniente, aggravato dall'ora e dal posto isolato, scemò quando mi accorsi che nei pressi c'era una cabina telefonica: avremmo telefonato alla zia e tutto si sarebbe risolto.

Nella luce dei fari lasciati accesi intravidi nella cabina la sagoma di un ragazzo, un altro era fuori. Presa da ciò che ci era accaduto non ebbi modo di trovare strano questo fatto. Neanche la mamma sembrò avere dubbi. Solo quando fumino vicini capii che quelli non erano normali utenti.

Forse perché non avevano recuperato i gettoni o perché avevano visto due donne, nessuno si era mosso. Una volta vicini però il ragazzo che era dentro uscendo dette uno spintone a mia madre prima di scappare insieme all'altro.

Una frenata brusca, un tonfo, un urlo. L'auto fece una gran virata su se stessa andando a fermarsi contro il muro di una casa diroccata dopo aver sfondato una debole siepe.

Mi trovai improvvisamente sola inchiodata dalla paura tra mia madre a terra e un corpo immobile sull'asfalto. La macchina silenziosa contro il muro. Aiutai mia madre ad alzarsi, raccolsi una scarpa. Non c'era tempo da perdere. Bisognava fare qualcosa per il ragazzo investito. Ci avvicinammo. C'era del sangue sull'asfalto. Il silenzio era cupo.

Mentre mia madre tentava di soccorrere il ragazzo dovetti segnalare col triangolo l'incidente. Mi guardai intorno. Solo in lontananza c'era una casa. Dalla macchina contro il muro nessun rumore. Mi avvicinai quanto potetti: un'ombra era curva sul volante.

Dovevo fare qualcosa. Mi misi allora a correre, correre in direzione della. casa. La raggiunsi. Tutto era in silenzio. Cominciai a chiamare e a bussare al portoncino fino a quando qualcuno aprì. Non so cosa dissi ma ci trovammo in due a correre verso il luogo dell'incidente. L'uomo non potette aiutarci molto non avendo né automobile né telefono e quello della cabina era inutilizzabile.

Ci volle del tempo prima che passasse un'auto sulla quale furono caricati i due feriti. Fummo costrette ad aspettare ancora, poi giunse una "volante" avvisata da quelli che intanto erano arrivati in ospedale. Mia madre aveva bisogno di una medicazione alla gamba per cui anche noi fummo portate in ospedale dove apprendemmo che il ragazzo era morto.

Una donna bianca e discinta ci raccontò una triste storia, del marito che l'aveva abbandonata con cinque figli, di quel ragazzo ribelle, di tanta miseria e di nessun aiuto.

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