Marta

 

ADOLESCENZA

 

 

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S’era chiusa nella sua camera con l’animo in tumulto ed ora guardava il soffitto arrabbiata anche contro se stessa. Una forza salita da chissà quali profondità attraversava dentro di lei canali sottili o più grossi che inturgidendosi rendevano doloroso l’intero reticolo, poi attaccava i suoi demoni, restii e potenti, tanto potenti che sarebbero stati capaci di sollevare il soffitto.

Ecco la stanza si apriva e tutto scompariva in un biancore brillante... lei era come sospesa. In questa candida nebbia i canali trovavano finalmente uno sbocco. Qui non c’erano né i pensieri, né le immagini di prima, solo un qualcosa che a lente ondate la quietava.

E Marta poteva riesaminare questi conflitti dominati da un astio indefinito ma che si risolvevano senza danni, anzi con la sensazione di aver costruito qualcosa.

 

Quel giorno dette una scorsa a qualche compito, poi decise di recarsi dall’amica che abitava di fronte, ma lungo le scale era pensierosa. Le sembrava che gli altri non avessero i suoi problemi, l’amica, le sorelle di lei, le sue sorelle, sempre così allegre. La sua spensieratezza era invece turbata da quei momenti che le rilevavano una Marta in lotta col mondo.

Attraversò di corsa il cortile tra le due case e sul portone andò quasi a finire nel grosso pancione del padre dell’amica. Si scusò arrossendo e si avviò più lentamente.

Aveva la disdetta di scontrarsi con i padri!

Gli scontri con suo padre, però, non erano fisici e neanche verbali, ma silenziosi contrasti interni. Lo strano era che lui, in casa taciturno e scorbutico, inviasse proprio a lei e non per esempio a suo fratello, il preferito, tanti pensieri; questi poi diventavano agguerriti soldati, così alla fine si trovava a combattere contro un intero esercito. Più giustificati invece, per i diversi rapporti, erano senz’altro i soldati che anche sua madre di tanto in tanto le inviava.

La sua situazione era ingarbugliata.

Con il proposito di confidarsi con l’amica bussò all’abitazione. La trovò che animatamente discuteva con le sorelle, mentre lavoravano di cucito, proprio dei genitori per via di contrasti di opinioni, di permessi non ottenuti. L’occasione consentì che si parlasse di rapporti difficili, del bisogno di evasione, del grande problema della scelta del marito quando c’è la preoccupazione dei genitori di accasare bene i figli. Faceva da sfondo un’ansia di andare incontro alla vita.

Lasciando le amiche Marta considerava la sua diversa situazione di studentessa che ha la possibilità di cambiare ambiente ed avere molte amicizie. Non si sentiva di sicuro una pecorella chiusa in uno stazzo. Immaginava la famiglia come una terra in cui si è nati e che si deve abbandonare per coltivare altri campi. Era bella la sua terra, ricca la vegetazione. Abbandonandola avrebbe provato nostalgia, ma avrebbe coltivato le stesse cose.

C’erano però dei cambiamenti da apportare.

 

Il pomeriggio cedeva il posto alla sera quando Marta si recò da Carla per la passeggiata del sabato. I pensieri di prima erano svaniti e lei poteva dedicarsi ad altro.

Lungo la via principale del paese, sotto lo sguardo dei genitori di lei, "perché le ragazze devono essere guardate, da lontano, ma guardate", le due amiche riuscivano ad avventurarsi su strade nuove dalle quali si vedevano scorci di una bellezza infinita. Allora scomparivano i genitori di lei e i negozi della strada... e il tempo volava.

Quella sera ritornando a casa - era più tardi del solito – avrebbe dovuto accelerare il passo, ma non lo fece per gustare la pacata leggerezza che le donavano le luminose passeggiate con l’amica. In quei luoghi avrebbe coltivato i suoi campi e costruito la sua casa. Non andò subito a letto. Continuò a viaggiare sui suoi libri preferiti.

Carla la seguiva, ma solo a metà. Anche a lei piaceva il mondo che si apriva sulle pagine di un libro. Aveva dovuto però rinunciarvi perché "non era adatto alle ragazze", le avevano detto i genitori. "Le giovinette devono stare in casa e dedicarsi alla famiglia". Marta respingeva con decisione questa mentalità e soffriva di non poter dividere con l’amica i suoi interessi.

"Ci sono esperienze che devono farsi direttamente" pensava. Anche l’amica ne era convinta.

Lo studio aveva permesso a Marta di entrare in una foresta foltissima, di straordinaria e turbante bellezza. Carla le si era avvicinata tanto da riuscire a sentirne il fascino accresciuto dai racconti dell’amica che ne sembrava magnetizzata. Era necessario, però, che si imparasse a procedere nell’intrico dei mille sentieri. E Marta aveva trovato una guida.

Durante i loro incontri Carla veniva a conoscenza di questa guida che l’amica seguiva accortamente passo dopo passo, lungo un tracciato più grosso, da cui partivano più strette direzioni ancora per lei precluse. "Ne dovrò gustare le bellezze, quando ne avrò la forza" le aveva fatto capire il suo professore appena lei aveva mostrato la curiosità di addentrarsi in quegli intrighi. Ogni tanto le era permesso di salire su qualche poggio e di lì dare sguardi desiderosi su orizzonti le cui immagini le rimanevano a lungo negli occhi.

"Sto imparando ad amare anch’io questa tua filosofia" esclamava Carla "e questo tuo professore".

Tra tutti gli argomenti di studio era proprio il riflettere sui problemi dell’uomo che attraeva di più Marta e l’insegnante riusciva a destare in lei un interesse mai prima provato. Si scopriva profondamente assetata. Perciò sempre più spesso si fermava con gli occhi fissi presa da qualcosa che inseguiva dentro di lei. Un senso di estraniamento le faceva poi capire che la realtà era diversa.

Tutto era cominciato a scuola quando dietro le spiegazioni scomparivano, come per magia, aula e compagne e lei si trovava ora nel cielo intellegibile di Platone, ora a reggere la lanterna a Diogene, ora a seguire Aristotele. E qui lui, non pellegrino con lei, prendeva le sembianze dei suoi filosofi. Poi c’era stato il brutto scherzo che aveva svelato a tutti, ma non a lui, il suo segreto. D’allora Marta aveva posto tutto il suo impegno per controllarsi e una volta aveva portato a scuola il romanzo che stava leggendo e lo aveva aperto appena era iniziata la lezione. Ma lui quasi per dispetto: "Ora, ragazze, vedremo come il più grande filosofo della cristianità riesce a mettere d’accordo due sistemi di pensiero in antitesi facendo un’operazione unica nella storia dell’uomo". E Marta quel giorno seguì San Tommaso alla ricerca di un collegamento tra ragione e fede.

Carla comprendeva l’amica. Vedeva questo insegnante taciturno da sembrare timido, lo sguardo profondo; un uomo sulla cinquantina, tempie scavate, gli occhi infossati, naso corto e largo, e la bocca piena di denti anneriti dal fumo. E vedeva le reazioni della classe, una delle più vivaci dell'Istituto, nell'accogliere i nuovi professori quando costui aveva subito occupato l’ultimo posto nella graduatoria. Ma poi quell’ordine era stato ribaltato.

Attraverso i racconti dell’amica partecipava a ciò che succedeva in classe appena l’insegnante cominciava a parlare. Avveniva un po’ come nella favola. La orribile bestia si trasformava in un principe bellissimo. Erano parole che una voce melodiosa conduceva suadenti alle orecchie delle fanciulle. Diamanti scintillanti al sole in quegli occhi aperti alla vita. Perle candide tramutate in sfere di cristallo... e lui vi estraeva profili di puro candore. Gli occhi seguivano entusiasti la scia come stelle d’agosto nel buio, avidi di visioni che il mondo normale delude.

Ben sapeva il mago guidare quei viaggi, esperto del suo elisir mesceva in giuste dosi il liquore. Ed erano presi quei cuori assorti, delicati come fragili ali, tesi come corde di cetra, tutti boccioli di vergini getti. Con lieve mossa avanzava sommesso sfiorando i timidi petali, ogni volta la stessa trepidazione... e il fiore si apriva... e lui ne coglieva l’acerbo profumo.

Sperimentava le contrade dello spirito il mago dell’animo o si vendicava della natura inclemente?

Da questi amplessi Marta usciva turbata, lo avvertiva Carla ma s’accorgeva anche che il parlarne era benefico.

 

Per tre anni le fu di aiuto. Pian piano poi quei resoconti divennero più calmi, Marta era presa da tanti altri interessi e poi da sola, sempre più da sola si avventurava nei sentieri tracciati dal pensiero dell’uomo. Carla sentiva che quell’amica esuberante di energia e di progetti presto sarebbe andata per la sua strada, e questa non sarebbe stata uguale alla sua. Aveva imparato a cucinare, conosceva i segreti del cucito e del governo della casa. Aspettava il marito, la dote c’era. Si sarebbe sposata "appena si fosse presentato un partito adatto" che le avrebbe permesso di vivere senza preoccupazioni, assicuravano i suoi genitori.

E lei ? Sarebbe stato capace quel suo uomo, per ora solo un’ombra, a guidarla? E dove?

Marta invece avrebbe viaggiato nella foresta attraente. La vedeva percorrere vie luminose, avanzare sicura e accanto una figura sorrideva con lei... insieme procedevano... splendidi.

Ella si vedeva vicino ad un qualcuno come suo padre, preso da un lavoro dal quale sarebbe rimasto estranea, e lei sarebbe stata come sua madre, perfetta regina della casa. I suoi genitori non avevano percorso le strade di Marta, Carla era convinta che avevano vissuto solo a metà.

 

Ansiosa sedeva nell’aula trasformata in sede d’esame. Dinanzi la commissione, al centro il docente di filosofia, membro interno.

Tra poco sarebbe iniziata per lei l’ultima scena della grande rappresentazione della scuola e si sarebbe potuta avviare con un lavoro nella vita. Era certa però che non avrebbe abbandonato i suoi libri non riuscendo a condividere le gioie delle amiche. Guardava gli anni di studio dietro di lei, l’approccio incerto, la presa di coscienza e li vedeva come l’inizio di un cammino a cui sentiva di non poter rinunziare.

La foresta l’aveva legata a sé: le si mostrava in vesti sempre nuove e lei era capace di scoprire scorci nuovi e tessiture nascoste. La sua pianta vi aveva messo radici ed era tutta tesa verso il sole pronta a dare i suoi germogli. Amava quella foresta che alimentava la vita del mondo. C’era chi vi entrava solo per poco e c’era chi vi si accontentava di guardarla di lontano. Lei, Marta vi sarebbe rimasta per sempre.

Era sicura come si sentiva pronta a sostenere la prova. Guardò il suo professore e lo vide confuso tra i membri della commissione.

Sorrise al temine dell’esame, era compiaciuto, sul viso una ombra di meraviglia. "Signorina, l’ho vista pienamente sicura di sé. Mi congratulo".

"Addio professore".

Era stato per Marta nient’altro che un elemento necessario come chi spiana una via per una prova.

Marta aveva superato quella prova.

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