Marta 

 

IL GIARDINO FIORITO

 

Alle soglie dell'adolescenza

 

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Da quando Marta aveva scoperto di essere diversa dalle persone che la circondavano sentiva forte il bisogno di chiarire a sé ciò che le stava succedendo. Aveva perciò trovato nel giardino con la vasca dei pesci rossi e il pergolato di glicini un posto che la difendeva dagli sguardi indiscreti. Anche dal sole che sembrava volesse illuminare il suo segreto.

L’aveva aiutata la disponibilità di una vecchia vite, che, sostenendosi a grossi pali messi verticalmente nel terreno e ad altri uniti orizzontalmente ai primi, formava una balaustra lungo un lato del giardino nella parte meno accessibile per via di una siepe di mirtilli. Marta riusciva agevolmente a salire fino al secondo tronco orizzontale e a sedersi su questo che, con un braccio grosso e curvo della vite creava un comodo seggiolino. Qui aveva sperimentato di essere invisibile. Era come scomparire.

Che necessità c’era per nascondersi così? Doveva stare sola per esplorare tutto quel mondo che aveva scoperto dentro di lei e che le faceva dimenticare che c’era la nonna che raccontava favole, la zia che sferruzzava, il papà che borbottava sempre per qualcosa che non andava, le sorelline con cui giocare e tutte le altre persone che frequentavano la sua grande casa. Ora quelle persone le davano fastidio. Si rasserenava, invece, in quella solitudine sulla vite ove respirava una libertà mai prima gustata.

"E la mamma Marta?".

La mamma! Quella mamma così bella e sorridente, così attenta a lei, così stimolante! Anche la mamma ora sembrava insopportabile.

"Ma il rimorso? Chissà quanti diavoli saranno intorno a me! Chissà come piange il mio angelo custode!".

Anche quest’angelo che la mamma chiamava Corallo, le dava noia.

"Voglio fare le cose da me senza essere guidata e controllata", ripeteva con stizza.

Allora quel mondo che la discrezione della vite l’aiutava a sondare appariva senza la mamma e senza Corallo. Ed era anche senza il papà sempre così lontano da lei e così brontolone.

Attraverso le lamentazioni del padre il mondo esterno appariva a Marta un ammasso di rovine.

"Nel mio giardino non entreranno mai guai!" diceva con convinzione. Come d’altra parte potevano entrare se era lei a volerlo? Questa costatazione le dava forza.

C’era un’altra persona che non avrebbe messo per nessuna ragione in quel regno: la sua maestra. Quella signorina brutta come le cose che insegnava! Solo a pensarla riprovava il dolore fisico dei "pizzicotti" che riceveva quando non riusciva a capire o era lenta o sbagliava.

Se era suo quel mondo doveva metterci tutto ciò che a lei piaceva, cose belle e colorate, cose diverse che aveva intorno a sé. Soprattutto lì c’era lei, Marta. Marta che parla. Marta che decide. Marta che fa.

Poco alla volta si faceva ordine nella sua testa. Era come avere una grande casa con molte stanze, in ognuna delle quali c’erano i suoi pensieri divisi per argomento e c’erano porte che si aprivano con facilità per cui da una stanza si poteva passare nell’altra e chiamare i pensieri là dove servivano, sicuri che poi questi sarebbero ritornati al loro posto.

C’erano tanti pensieri in quelle stanze e c’era posto per altri e altri ancora, né Marta si meravigliava se la sua maestra diceva che non aveva pensieri: questi erano di quelli che non si potevano scrivere sui quaderni. E poi lei non avrebbe mai permesso che uscissero dalla sua casa.

Chissà quanti "pizzicotti" le avrebbe dato la signorina Italia e il papà come si sarebbe arrabbiato! Chissà se quel mondo che andava male si sarebbe potuto aggiustare con i suoi pensieri! A lei però non interessava aggiustare il mondo. E poi era sicuro che il suo papà si sarebbe sempre ancora lamentato.

"E la mamma avrebbe continuato a sorridere se avesse conosciuto i suoi pensieri?". Questo dubbio segnava sul viso di Marta un’ombra. "Il sorriso non doveva scomparire dal viso della mamma!".

I suoi pensieri erano tutti così belli e luminosi, così ordinati e facili da guidare. Non potevano essere cattivi. La mamma non si sarebbe arrabbiata. Forse solo a lei avrebbe avuto il coraggio di raccontare le sue cose, ma le sembrava di rompere un incantesimo. E poi della mamma non le piaceva quel suo parlare a tutti di lei. "Marta fa questo". "Marta ha imparato quest’altro". Quante volte avrebbe voluto scomparire dinanzi alle persone, per di più importanti, alle quali la mamma parlava di lei mentre gli occhi le brillavano. "Perché" si chiedeva "prova tanta gioia a parlare agli altri di me?". No, alla mamma non poteva svelare il suo segreto.

Allora quel mondo le appariva fonte di un tradimento alla mamma e che pian piano diventava distacco da lei. E ciò la torturava.

Ripensava all’atmosfera di sicurezza in cui aveva vissuto quando non aveva tanti grilli per la testa ed era presa da un profondo senso di smarrimento che la dominava anche quando era impegnata nelle occupazioni più normali. Non riusciva a spiegarsi perché un’azione o un oggetto le provocava piacere e dispiacere nello stesso tempo, perché verso le cose si sentiva attratta, ma poi le respingeva come se avessero due facce, o come se fossero fatte di due paste una dolce, una amara.

"Povera Marta! Cosa ti succede?".

Tutto era cominciato da quando aveva tradito la sua famiglia costruendosi quella casa con le stanze in cui abitavano i suoi pensieri.

Col passare del tempo quei suoi amici le erano diventati familiari tanto che le bastava stare sola per incontrarsi con loro. Le facevano compagnia soprattutto la sera prima di prendere sonno, e poi al mattino ella si svegliava con la sensazione di essere stata con loro anche durante il sonno. E questi amici, che erano rivali della mamma partecipavano in modo strano al suo rapporto con lei: l’aiutavano a difendere le sue scelte ma poi l’abbandonavano quando si pentiva; allora ella si riprometteva di essere meno cocciuta, ma quelli ritornavano e lei non riusciva a mantenere i proponimenti.

Lentamente si costruiva un muro tra madre e figlia. Ogni contrasto era una pietra aggiunta alle altre. "Devi convincerti che non è come te" si diceva con furiosa impotenza quando, dopo un ennesimo scontro, si chiudeva nella sua stanza. Solo tra le lacrime, la testa nel cuscino, si calmava la sua rabbia.

Neanche con gli altri, però, le cose andavano bene. Come un’estranea nella sua casa, tra quei fratelli che avevano tanti amici. "Tu sei musona. Non sai essere con loro". Perché era tanto cambiata? Certo molte cose erano avvenute.

Tutta presa dai suoi problemi Marta aveva lasciato che le cose accadessero come se non l’avessero riguardata, invece si rendeva conto che le cose che accadono ci cambiano.

"Le cose succedono per cambiare le persone o queste cambiano affinché le cose avvengano?" Questo problema per ora non l’interessava quanto quello di prendere coscienza dei tanti avvenimenti che avevano cambiato la sua casa, la sua famiglia e lei stessa.

Il papà più spesso non si alzava dal letto, la mamma era sempre più preoccupata. Il mondo in cui tanto spensieratamente aveva vissuto non esisteva più. E con esso era andato via anche il suo giardino trasformatosi in uno squallido spazio occupato dagli attrezzi di lavoro del babbo. La sua vite sembrava uno scheletro coperto di una sottilissima pelle fino a scomparire del tutto.

Anche il palazzo di Marta era cambiato. Ora aveva intorno un bel giardino come quello che lei aveva perduto, con tanti viali di siepi odorose che si perdevano lontano. Le piaceva incontrare qui i suoi pensieri divenuti più grandi e più complessi da non poter stare nelle camere della casa. Aveva anche preso l’abitudine di collocare sulle terrazze, nelle aiuole, lungo i vialetti tutte le cose belle che trovava nei libri, i tanti libri che preferiva a quelli di scuola. Aveva infatti scoperto che c’era gente che pensava tante cose attraenti e le diceva nei libri.

"Perché le cose belle sono solo nei libri, nascoste nelle immagini? Perché gli uomini non hanno il coraggio di dirle guardandosi negli occhi?" si chiedeva con rammarico.

Avrebbe voluto avere quel coraggio, confidare i suoi pensieri alle persone accanto a lei, alle amiche, alla mamma ora che si andavano placando i contrasti. Non era riuscita ad aprirsi pur avendo tante volte tentato.

"Le mie idee forse non interessano" Aveva riflettuto su ciò che la gente si dice. Tutte cose di poco contro. Ci si fermava alla superficie.

"No, gli uomini hanno paura delle cose che hanno dentro".

Per Marta invece il bisogno di mettere fuori il suo "dentro" era forte e a volte le provocava dolore. La mamma però le aveva fatto capire che non si doveva. Una volta Marta l’aveva tentata con una domanda su un problema "spinoso" che la donna in precedenza aveva evitato. Ora le mentiva e allora Marta aveva capito che il giardino doveva rimanere chiuso.

"Come sarebbe stato bello, invece, se ognuno avesse aperto all’altro il suo giardino.

 

Ora era anche sicuro che tutti avevano un giardino, alcuni più piccolo altri più grande. Quello della mamma doveva essere diventato brutto: tante rughe avevano preso il posto del suo radioso sorriso.

Il suo giardino invece era infinitamente meraviglioso soprattutto da quando aveva incontrato dei romanzi straordinari. Le sembrava che la scrittrice avesse i suoi stessi gusti. Anche a lei piacevano i giardini con le siepi di fiori, i viali infiniti e i palazzi che erano come la sua grande casa con le stanze le une nelle altre, il salone e le terrazze per osservare il cielo. Così era successo che le storie di quei libri prendevano corpo direttamente nella sua segreta dimora e lei poteva anche cambiarle o continuarle all’infinito. Poi quando si stancava un altro romanzo gliene forniva delle nuove.

Il gioco d’altra parte era facile poiché c’era come un motivo di fondo che univa tutte le vicende: un lui, una lei, lo sbocciare di un amore che somigliava alla scalata di un monte per raccogliere l’edelweiss, il fiore delle rocce, delle solitudini, dei silenzi. E proprio come l’edelweiss era quel sentimento puro che aveva sempre la stessa caratteristica. Era diverso come quel fiore che non nasce nei giardini, che non s’apre e s’ammanta di colori per attirare gli insetti e le farfalle, un fiore che non si conforma alla legge generale della natura, ma che ama nei silenzi e nelle solitudini. Un fiore, un amore, che conosce le profondità delle altezze, il pungolo dell’aria pura e come la neve è immacolato, un fiore un amore non comuni.

Marta prediligeva questo tipo di sentimento tra quelli di cui le vicende dei suoi libri erano intessuti. Anche gli altri erano belli, ma comuni come i fiori dei giardini. Ci sono troppe rose nei roseti, gli anemoni e i lillà sono tutti belli e profumati, anche l’orchidea ritrova le sue attrattive e la sua maestà in altri fiori. E tutti servono per attirare insetti e farfalle. E, poi c’era una lei. A Marta piaceva il suo essere nell’ombra dove la vicenda la metteva, nascosta come la mammola che ammira tra i sassi nell’ombra il tripudio delle rose inondate dal sole. E il sole era lui. Oh, quanto lontano era da quella viola, lei così insignificante, così piccola e nascosta e lui così profondo. E c’erano le rose... e lui a farsene ghirlande e lui a cercare quei colori e lui attratto da quei profumi. Oh, lo strazio !

"No non voglio essere come le rose. Ma quel sole così silenzioso, così delicato, quel profumo così diverso, quel tepore, quella tenerezza. Ma quelle rose e quei fiori... come le lucciole".

Era proprio brava la scrittrice, pensava Marta nel seguire tra le vicende il filo rosso che le univa, ed era chiaro che ella preferiva quel filo, forse qualcosa che avrebbe voluto incontrare nella sua vita, forse.

Poi quel filo s’innalzava e portava la viola verso il sole. Non ci si accorgeva quando iniziava la salita ma tutto avveniva e passo dopo passo il timido fiore dell’ombra toccato dal sole sentiva la forza in quel caldo e diveniva edelweiss. Lassù sulla vetta si apriva al suo sole.

Queste visioni che la mente produceva mentre seguiva i suoi eroi facevano dimenticare una realtà, quella di Marta, che diveniva sempre più grigia ed opprimente. Alle soglie dell’adolescenza Marta incontrava i mostri della vita. Ormai il padre si era arreso alla malattia e aveva dovuto abbandonare il lavoro, nella casa era entrata l’indigenza. E fu come quando un’inondazione ancora più violenta si abbatte su un campo già devastato.

"Non avvilirti, Marta, gli ostacoli si affrontano".

La fanciulla avvertiva come un peso sulle spalle e lei era lungo una salita, i sassi rotolavano sotto i piedi e la facevano cadere, e lei si alzava col peso che diveniva sempre più gravoso.

"Forza, Marta, forza".

Tanto grande era quel fardello che non riusciva a liberarsene neanche quando cercava riparo nel suo giardino che ora appariva avvolto in una nebbia luminosa. E poi ci fu una notte, una terribile notte, quando nel lettino accanto al suo sentì piangere la mamma.

"No, le mamme non devono piangere".

Disperata cercò i suoi amici lì nel giardino. Allora vide lui e lei sul viale infinito, e nubi nere portate dal vento, e vide il freddo invadere il giardino, e fiori e siepi appassire, e le finestra e le porte del palazzo aprirsi nel vento.

E vide il monte con l’edelweiss scomparire tra le nubi e il sole non brillare più.

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