Scuola

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Risposta ad un articolo di Alfio Zoi sulla necessità di rinnovare i libri usati nella scuola

in "Scuola e Didattica"

 

 

Sento di poter dare un contributo al tema posto da Alfio Zoi nella rubrica "Proposte didattiche" con l'articolo dal titolo "Alzare il tiro" attingendo alla mia esperienza maturata in lunghi anni di insegnamento nella Scuola Media, nella consapevolezza che ampliando l'angolo di osservazione si può concorrere alla chiarificazione di una situazione, delicata poiché sono i ragazzi a subirla, e problematica poiché sottintende questioni salienti del dibattito su tutta la scuola dell'obbligo.

Lo studioso ha ben ragione nel lamentare le difficoltà che si incontrano nei libri di scuola media ove, accantonando ogni generalizzazione, si riscontrano complesse costruzioni sintattiche, termini fuori dell'uso comune, concetti resi difficili da un eccessivo ricorso all'astrazione o dalla mania di rendere complicate le cose. A riprova di tutto ciò basti considerare questo breve testo preso da un libro di grammatica italiana.

Sulla pagina di introduzione al primo capitolo dal titolo "La lingua che parliamo" si legge: Nella società, nella vita della società, che è sintesi della vita sociale, sede propria del vivere civile, la lingua è una componente essenziale. Provatevi ad immaginare una società senza lingua.

A parte la costruzione sintattica qui si pretende che un decenne non solo sia giunto all'astrazione, ma sia anche in grado di fare sottili differenze tra concetti. E allora veramente "la lingua che parliamo" gli sembrerà, prima di intraprenderne lo studio riflesso, un'assordante cacofonia che soffocherà ogni entusiasmo.

Gli esempi potrebbero allargarsi ai testi di tutte le discipline, agli esercizi, che a volte sono vere e proprie "cabale", dando l'impressione che l'amore per la complessità sia una tendenza dell'animo umano.

Vorrei tenere a parte le altre difficoltà individuate dallo Zoi nei testi per le medie come i "grafici, le tabelle, gli schemi riassuntivi", che sono mezzi didattici, utili se si vuole aiutare l'allievo a dominare il panorama di un argomento svolto diffusamente, a seguire l'essenzialità di un fenomeno o a tener presente le idee guida di una disciplina; come i "sottocodici disciplinari" che devono essere conosciuti da chi si avvicina allo studio di una disciplina, anche perché questi spesso ne esprimono i concetti base; come la lunghezza dei testi e la loro ampia articolazione che possono essere padroneggiate con la guida dell'insegnante, anche in più monenti con successivi ritorni sull'argomento. Le stesse 5000 e più pagine dei libri di prima media, molte delle quali coprono l'arco dei tre anni, non saranno tutte "lette", "studiate, capite, schematizzate", poiché il libro di testo deve dare al docente e all'allievo una varietà di argomenti cui attingere secondo la necessità; sta infatti, al primo scegliere quelle pagine che rispondono al suo progetto educativo, tralasciarne altre o usarle solo come fonte di consultazione; sta al secondo, in una situazione auspicabile, soddisfare in esse ulteriori bisogni conoscitivi.

Vorrei, invece, fermare l'attenzione su altri problemi ben messi in evidenza dall'autore dell'articolo, poiché essi ci condurranno al nocciolo della questione.

L'estensione dell'obbligo scolastico porta alla scuola media ragazzi che non raramente hanno avuto tra le mani, in cinque anni di frequenza scolastica, solo otto libri (due di lettura nel primo cielo; sei, tre di lettura e tre sussidiari, nel secondo ciclo), che, sono stati le loro uniche fonti di sapere. Se questo sapere è ridotto al minimo, sintetizzato, compendiato, riassunto, il bagaglio di conoscenze sarà pur esso tale, con il reale pericolo che tutto si riduca a "nozione" e con la conseguenza che questa venga rapidamente dimenticata, proprio perché non inserita in un contesto ampio, o che, comunque, non venga amata. A un tale allievo le 5000 pagine dei libri di scuola media risulteranno incomprensibili e di peso. Questi mini testi inoltre, non potranno essere facilmente compresi poiché la comprensione sottintende un'ampia penetrazione ed allora il nostro allievo risolverà la difficoltà col mandare il tutto meccanicamente a memoria, "vizio" diffusissimo, che addormenta la mente e che certo non potrà più essere praticato sulle 5000 pagine in questione.

La "riduzione ai minimi termini" degli argomenti presentati dai testi di scuola elementare, poi, impedisce ogni possibilità di intervento da parte dell'allievo nel processo apprenditivo: è infatti la difficoltà che stimola la mente, è l'ampiezza della trattazione che fa sentire il bisogno di ricorrere ad un controllo del tutto, con uno sguardo d'assieme nello schema o nel grafico, a cui per tempo ci si deve abituare.

Dall'eccessiva semplicità, che diviene superficialità, deriva, infine, l'impossibilità a guidare questo ragazzo ad individuare nelle discipline studiate le linee principali, che, presentate nella loro accezione elementare, facciano capire quei fondamenti di ogni disciplina che sono alla base del sapere essenziale.

È con questo bagaglio di strutture elementari, che si può assicurare ogni successivo sapere ed è questo bagaglio che costituisce il piano di naturale proseguimento del primo grado della scuola dell'obbligo nel secondo.

Si evidenzia a questo punto il problema del contatto tra le due scuole, contatto essenziale e vitale, ma finora caratterizzato da una profonda frattura proprio per l'enorme divario che le divide. Mentre la scuola media, infatti si è adeguata alla rapida evoluzione del sapere fino ad arrivare, nel 1979 a programmi che la mettono al passo con i sistemi scolastici più avanzati, la scuola elementare è rimasta, fino a quest'anno, ai programmi del 1955. Tutto ciò si evidenzia nel divario tra i testi delle due scuole.

Ma non è tutto poiché il ragazzino incontra altri "mostri" in questa nuova scuola, mostri che appaiono da una semplice scorsa ad un qualsiasi indice di un qualsiasi testo e cioè argomenti complessi, difficili, ardui, nuovi.

A questo punto al tiro alzato dello Zoi sui testi della scuola elementare che, come dice lo stesso "devono essere adeguati al progresso scientifico registrato del resto e appena ufficializzato anche dai Nuovi Programmi" e che quindi si adegueranno a quelli delle Medie, ne aggiungerei uno, anche su coloro, gli insegnanti, appartenenti a tutta la fascia dell'obbligo, che devono usare "questi libri" con "questi argomenti".

Per usare il libro come mezzo, per "guidare a ragionare" sugli argomenti da essi proposti, per capirli, per individuarne la struttura e in generale per far capire qualsiasi cosa che si fa e perché si fa, c'è l'insegnante, che deve mettersi nella logica della nota affermazione del Brunner che si può insegnare "tutto a tutti in qualsiasi età". Ma si può fare ciò solo attraverso un insegnamento adeguato, "ciclico e a spirale", che dia gradatamente le linee generali di connessione, che costituiscono la struttura, le idee fondanti una disciplina, in cui si potranno facilmente calare, poi, tutti gli apprendimenti.

Ed ecco che il "tiro alzato" sui docenti viene "corretto ed indirizzato" sulla loro preparazione poiché essere in grado dì realizzare tutto quanto detto prima significa conoscere a fondo le discipline che si insegnano e significa anche maturare, attraverso la cultura, quelle capacità che sono essenziali ed inscindibili da ogni funzione docente.

Mancando questa preparazione si rischia di ridursi ad un insegnamento passivo, di lasciare al libro di testo il compito di fare scuola e quindi renderlo difficile, si rischia, più in generale di condizionare tutto il processo conoscitivo dell'allievo e di danneggiare soprattutto i meno fortunati, che non potranno rifarsi dopo.

L'aggiornamento dei docenti, con cui si cerca di porre riparo, oggi a massicci errori precedenti, se si riduce però a passivo ascolto di una pur dottissima lezione non risolve il problema degli insegnanti in servizio, come l'esperienza fatta nella scuola media dimostra, né le cose potranno andare meglio per le elementari, se il previsto obbligatorio aggiornamento per quei docenti avverrà o è avvenuto nello stesso modo; mentre è ancora in cantiere la soluzione del problema della preparazione universitaria dei futuri insegnanti medi ed elementari.

Mi sia concesso alla fine sottolineare quell'alzata di tiro su tutta la didattica "della lingua e della lettura" che l'autore fa, a cui dico che si può fin dalla prima classe presentare un tipo di testo all'allievo, basta sapersi porsi in atteggiamento entropico nei suoi riguardi; e i "testi presi dall'ambiente linguistico dell'allievo", che non sono semplici gli si devono dare, se non vogliamo che lo facciano altri. Si può inoltre far cogliere al piccolo lo schema logico del testo, la sua "fabula" interna, anzi questo ne aiuta la comprensione e la conseguente necessaria conversazione. Si può ancora dal testo isolare prima semplici poi più complesse strutture e guidare l'allievo ad usarle, introducendovi la "sua" realtà; si può smontare e rimontare un brano, capirne l'uso, rinnovarlo, manipolarlo per i propri scopi e tutto questo può diventare un gioco, un divertente gioco che porterà l'allievo ad amare la scuola poiché in essa sentirà soddisfatta una delle esigenze più elementari dell'uomo, quella di comunicare.

 

 

L'articolo fu pubblicato su "Scuola e Didattica".

 

 

Contributo ad un dibattito su "Scuola e Didattica" sulla valutazione

 

 

Manca nella scuola un vero rinnovamento.

 

Ben tre articoli di "Scuola e Didattica" (n. 3 del 15 ottobre 1988) trattano il problema della valutazione. Questa sottolineatura porta alla ribalta, nel momento in qui si dibatte la questione della cosiddetta "scheda sperimentale" forse determinata proprio da detta questione, la grande contraddizione di fondo che è nel mondo della scuola che emerge in tutta la sua valenza nelle vicende del processo valutativo.

Abbandonata la logica della scuola tradizionale, con le impostazioni didattico-pedagogiche di promozione umana della nuova scuola media, la valutazione, da momento meramente selettivo poggiato sulla nozione, è entrata a far parte integrante e processo educativo, che vive tra la sistole della verifica e la conseguente diastole dello stimolo nel proseguimento del cammino evolutivo dell'allievo, il tutto razionalizzato nella programmazione. 

Invece le vicende dell'atto valutativo, che nella pratica attuazione scandisce l'anno scolastico in due soli momenti e che sanziona ancora quantitativamente l'impegno scolastico, ci dicono che tra lo spirito della legge e la sua pratica attuazione c'è un divario sostanziale, poiché nella struttura nuova che sono le innovazioni legislative e programmatiche della scuola media, vive ancora la scuola tradizionale malamente acconciata a queste con i danni che nascono da ogni ibridismo.

In effetti nella scuola che vuole e deve essere della promozione umana di tutti e di ciascuno (quella seria e non travisata da facili arrembaggi) non ci si è distaccati dalla logica che reggeva la vecchia scuola: i giudizi analitici e sintetici che si richiedono non sono altro che la trascrizione verbale del voto numerico e comunque sono dettati da quella logica. 

Ma c'è di più. Il giudizio valutativo richiesto dalla scheda introdotta con la 517 e ancora più i rilievi sugli obiettivi della nuova scheda sottintendono ben altri tipi di osservazioni di ordine psicopedagogico che si possono fare solo se si imposta l'insegnamento come cammino verso la crescita autonoma della persona mediante l'acquisizione di abilità e lo sviluppo di capacità in cui mete formative e disciplinari (e tutto ciò richiede un'estrema chiarezza di idee e strategie) trovano la loro giusta sintesi in un sapere che diviene cultura. La valutazione dovrebbe seguire e dirigere questo cammino e notificarlo periodicamente all'esterno.

In altre parole ci troviamo di fronte a sofisticate attrezzature (le innovazioni di cui dicevamo) introdotte in una realtà composita e complessa come la scuola che avrebbe avuto bisogno di una profonda ed organica "riconversione", al suo posto, invece, s'è avuto solo qualche tentativo risultato, però, all'atto pratico illusorio (è il caso per esempio dell'aggiornamento) perché si trattava in gran parte di incidere su di una realtà le cui concrezioni le avevano fatto perdere la primitiva flessibilità, mentre inadatti sistemi di reclutamento peggioravano la situazione.

Lo stesso fatto che la scheda sperimentale è dalla maggior parte vista come una via di mezzo tra il numero di ieri e il giudizio di oggi o il fatto che tanti, troppi, auspicano il ritorno al numero, conferma quanto abbiamo detto.

Basta l'esemplificazione presa in esame, rivolta su un elemento cardine qual è la valutazione, per concludere che non ancora si è colto a fondo la vera fisionomia della nuova scuola media.

Un sistema completamente innovato, dunque, senza gli opportuni interventi di adeguamento è la contraddizione di fondo che come un grosso equivoco stravolge il volto della scuola.

Né rosee possono essere le previsioni se non ancora sono stati fatti a monte gli interventi necessari (e parlo della ristrutturazione dei corsi di laurea o del sistema di reclutamento, tra cui i concorsi, non ultimi quelli a preside). 

L'equivoco persiste e il costatarlo porta a due ordini di considerazioni che potrebbero trasformarsi, entrambe, in amara realtà e cioè che questa lunga riforma è stata fatta) come tante in Italia, alla cieca senza una visione chiara dell'ampia e complessa problematica che ci sarebbe messa in moto, sperando, per i risultati, nella buona sorte o nella buona volontà; oppure, più tragicamente, la si è fatta perché lo richiedevano i parametri di democratizzazione della vita sociale, ma la si è lasciata incompiuta temendo che il corretto sviluppo della persona umana avrebbe immesso nella società forze vitali valide, se é vero che "l'ingegno è sempre sospetto" e la mediocrità è preferita perché "non costituisce una minaccia per glì altri" come afferma molto efficacemente Somerset Maugam.

Entrambe le ipotesi sono semplicemente allucinanti, essendo la scuola l'istituzione cardine di ogni società avanzata, che, per i pericoli oggettivi e le irreversibili conseguenze di qualsiasi superficialità, non può permettersi alcun equivoco.

Il compito della scuola è proprio quello di far crescere i cittadini di domani come persone nell'accezione più ampia del termine, perché una società veramente umana si costruisce solo con il serio e reale contributo di tutti e di ciascuno. Questa scuola si deve e si può costruire, ma per farlo bisogna uscire da ogni equivoco.

 1989

 

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