Pensieri

 

IL MIO ZIBALDONE

 

I fermenti della solitudine

 

 

 

 

 

La solitudine, che fugge gli inganni degli uomini non è la solitudine del saggio, virtuosa realtà completamente autonoma nella sua perfezione, ma è quella che cerca forme diverse di comunicazione. Ricerca che si volge alle vie interne dell'uomo, di tutti gli uomini, ma che abbiano esplorato tali regioni; ricerca aperta e disponibile che supera i condizionamenti del contingente per affacciarsi, secondo il dettato di Agostino, su quegli orizzonti comuni che più si slargano quanto più s'indaga; e quanto più sì slargano più sono coinvolgenti perché non sono spazi senza confini  - lo spazio à una categoria dell'esserci -  ma sono un tutto totale e convergente in ogni suo punto (categoria dell'essere). (1993)

 

Salutare ritorno alle radici

Accade all'uomo di attraversare delicati momenti nella sua vita, in cui la situazione precedente non confluisce nella seguente come un fiume in un altro e nel mare. 
Si chiamano questi momenti "crisi di sviluppo e di identità" proprio perché si è alla ricerca di un equilibrio tra il prima e l'oggi ed anche il futuro, in virtù di questa incertezza, appare come avvolto in densa nebbia.
 E mentre l'uomo cerca le ragioni dei suoi accadimenti, ragioni sfuggenti come tutte le cose che non possono essere costrette sotto il fascio indagatore d’uno strumento d'analisi perché appartengono al mondo inafferrabile del metafisico; mentre l'uomo dà forza a tutte le sue risorse, perché si generi un nuovo equilibrio che, non rigettando le diverse esigenze, saldo s'installi su ciò che nel suo passato egli stesso ha costruito; mentre l'uomo così lotta un senso di sradicamento l'invade, perché intanto quel passato egli porta scritto nel suo essere, perché i nuovi bisogni sembrano non essere figli dell'ieri.
 In questi momenti una salutare regressione aiuta il figlio di Adamo. Il ritorno alle radici è come una fresca sorsata di sorgente perché le origini hanno una potente forza di rinnovamento, come un germoglio sul tronco annoso spezzato dalla tempesta. (1990)

 

 

Le conquiste del tempo triste

Quando i giorni sono grevi e le ore battono lente come impigliate nell'afa, quando il pensiero che sente sale insistente alle tempie come voce che prega, allora all'uomo giova tuffare la mente che vuole nel pelago denso di tutti i pensieri del mondo. Allora quel gravame si scioglie al fuoco di altri dilemmi, quel pensiero che sente s'innalza agli approdi del cielo. Allora quell'uomo trova una via.
Anch'io ho veleggiato sull'acqua dell'uomo, che mi ha dato le ali per l'isola d'oro e una mappa per le ore di fuoco. Ho ascoltato racconti di viaggi, d'incredibili imprese come incantevoli fiabe, ma nel cielo bianco di sole trinato dal verde e dal rosa d'un boucanville, l'evocazione perdeva il mistero all'urto d'un uscio e alla scossa d'un grido e restava l'effluvio del parco, di giardini stipati di fiori.
E un'altra volta m’appare un'ombra a picco sopra uno spicchio di mare e due luci in un pezzo d'azzurro. Ho navigato con loro, alle parole sbarrando le labbra. Ma il pensiero segnava innumerevoli frasi sulla scia trasecolata del lungo e sottile vascello. Andavan sul mare, che accoglieva la sera, rarità prodigiose; si spandeva il caldo brillìo dell'ultimo raggio, e quello più dolce che indugiava a levante; stupiva il cielo d'indaco e viola, curiosava una stella; strabiliato fuggiva un gabbiano sbraitando nell'aria che s'era fermata.
Ma poi una grata ferrigna s'alzava là dove il cielo si bacia col mare, come un sipario sul sogno. E poi nell'alba tornarono come pioggia di stelle, ma erano fiori rosa che con la mano ansiosa coglievo a levante. E tornava quell'odor di mistero evocato dal sogno, riappariva l'isola bianca e leggera, l'isola striata di sole, coronata dal mare di luce, leggendaria.
"Raccontami" pregavo "raccontami ancora".
E nell'isola fiori mai visti ed io un cesto ne avevo, e nell'isola uccelli dall'ali di fuoco ed io ero con l'arco, e nell'isola trasparenti montagne, azzurre foreste, straordinarie farfalle su esili steli e acque ardenti con cigni. E a sera sulla sabbia di seta dove conchiglie screziate di luna aprivano i loro segreti, ospitava l’isola Febo, il delfico dio, che prodezze faceva più d'ogni invenzione: al par le chimere son come la luna col sole; e aveva parole di perle che raccontano le vicende del fondo dei mari e gli occhi erano di viva antracite pieni di profondi segreti. Ma poi il sole rubava a quell'alba le sue gioie. Ed io restavo in attesa di nuovi ritorni.
Ho riempito allora il mio tempo e la mente affrontando diversi problemi. Ho scavato nel fondo di altre invenzioni. (Estati a S. Nicola. 1989-1992). 
 
 
Vedi
 
Canti sannicolesi
 
L’isola
 
 
 
 

Queste nostre parole così comuni e così necessarie. Così inadeguate. Sempre per noi il segno svela la sua inefficacia. È forse così che si difendono certe regioni? Oppure è una frontiera oltre la quale ognuno è solo? (1990)

 

 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

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