Leggere le Scritture

Testi di Gioacchino La Greca

 

DIO, MISTERO NON ONNIPOTENTE

 

Particolare della Creazione di Adamo di Michelangelo

 

Ci porremo  sempre questa domanda, noi possessori di una forte fede debole, credenti non devoti, cosi come se  la  porranno sempre i credenti  in possesso di una fede forte e certa, e gli atei devoti, perché credere in Dio  non può essere un concetto astratto, una formulazione concettuale del pensiero umano e  religioso. Qualunque concetto della mente e della intelligenza umana, per essere vero devo avere un riscontro nella esperienza e nella vita.

                                                                                                                                                                                             Quindi qual è l'esperienza vitale del concetto di Dio  in nostro possesso? Tutto quello che riguarda Dio deve trovare un riflesso nella nostra esistenza, altrimenti Dio rimane un concetto astratto, lontano forse più del Dio santo e benedetto che distava 3500 anni di cammino dall'uomo, ed era praticamente irraggiungibile. In questa ricerca svolge un ruolo importante, da sempre nella storia dell'umanità in cerca delle risposte più profonde, la religione, verso la quale l'uomo si è rivolto quando, messo di fronte al misterium tremendum e fascinans della natura  ha cercato sia intimamente  che esteriormente le risposte ai misteri che lo sovrastano. La religione dunque come risposta alla solitudine dell'uomo, alle domande spesso senza perché della origine della vita, e sulla morte, e del male, e di tutto ciò che è la natura umana e universale, e di quello che noi sperimentiamo giorno per giorno nella nostra esistenza. Poiché  accanto alla finitezza e ai limiti con cui noi ci confrontiamo, siamo anche capaci di grandi aspirazioni, di grandi desideri di vita e di generare vita, di operare per la giustizia e per il bene, di creare la bellezza e produrre sapienza, ecco che questi desideri, che noi scopriamo innati e ai quali dobbiamo educarci e indirizzarci, non sono tacciabili di essere solo delle ingenuità della mente, ma sono la risultanza soggettiva di una dimensione oggettiva in cui l'uomo vive e a maggior ragione il credente.

Possiamo cosi tradurre nella parola fiducia questi concetti e dire che il concetto di Dio è uguale a una fiducia di fondo dell'Essere. Occorre grande disponibilità mentale per porsi di fronte a questo grande  "misterium" meraviglioso e terribile, senza ideologie preconfezionate, senza dogmi precostituiti, senza ostilità verso chi pensa in modo diverso. È in parole povere la vittoria del metodo, rispetto al contenuto. Al riguardo quando ci rivolgiamo alla religione cattolica per avere risposte attuali al bisogno di Dio e di spiritualità, questa dà risposte spesso inadeguate, non toccate dal flusso evolutivo che attraversa la vita degli uomini, e si pone in ciò con atteggiamento spesso ostile o di condanna per chi rifiuta dogmi o risposte infantili su Dio e ciò che lo riguarda. Sarebbe necessario a questo punto liberarsi da questo Dio dogmatico onnipotente e capriccioso che premia e castiga, e riportarlo alla  originaria esigenza vitale di bene e di giustizia, quindi di etica, e di amore. 

Non lasciarlo appesantito dal potere dell'imposizione, ma renderlo leggero come lo Spirito che anela ad esso come sommo bene e verità. Non dobbiamo dubitare che egli esista. Piuttosto chiederci che cosa dobbiamo intendere con tale termine. Poiché Deus est vox relativa, egli significa Signore, Padrone, ed è cosi che era chiamato dagli antichi redattori della Bibbia, Adonai, Signore. Esso indica sempre una potestà, una signoria sull'uomo, poiché la vita dell'uomo dipende da una serie di tante cose esterne e più grandi di lui. Questa soverchiante eccedenza che ci sovrasta, questo di più o surplus che contiene la vita e da cui la mia vita dipende è la Signoria potente che viene identificata col termine Dio. Ma quale identità assume questo Dio? Io qui sto con quei teologi e filosofi, e Mancuso tra questi, i quali affermano, che alla luce della storia cosmica e dell'ordine ivi manifesto, anche se il processo evolutivo e l'ordine si instaurano a prezzo di sofferenze e fatiche, sia ragionevole dire che via sia un unico "Principium  Universitatis", unico principio ordinatore, immanente a questo cosmo e quindi distinto dal Dio personale e perciò esso stesso trascendente, che coincide col Logos, l'Hokma, le dieci Sefirot, di altre antiche sapienze religiose. Ma esiste  al di sopra di esso il Primo Principio dell'essere Personale, se fondiamo il nostro discorso a livello esistenziale. Poiché è indubitabile che esiste un grande valore della esperienza personale di ogni uomo, e che la sorgente esistenziale da cui partire è la custodia della bellezza e della grazia della vita personale di ognuno, della esistenza di ogni essere umano. Allora per custodire questo miracolo il principio ordinatore dell'universo, immanente al mondo, è necessario rimandi a sua volta a un più alto principio personale. Ma mentre la ragione cerca di dare razionalità alla presenza di un Dio personale, e si arresta ai limiti della sua incapacità di concepire forma e sostanza di Dio, è la fede che in questo campo la fa da padrone, e ci permette di superare d'un balzo ciò che ci trattiene dall'abbracciare con la ragione la verità. Dio personale esiste nel momento in cui noi lo facciamo esistere nella persona altrui, nel tu, nella relazione armoniosa che ci consente di guardare l'altro uomo non come lupus o avversario, ma fratello di viaggio nel grande cammino che la creazione ha intrapreso miliardi di anni or sono per ricondurre l'essere energia nel cuore di Dio da cui tutti proveniamo e tutti tendiamo. La religione che professiamo è quella che ci dona una immagine di Dio tenera di padre, cosi come ce la consegna Gesù. Padre premuroso e misericordioso, buono, come sono tutti i padri quali non darebbero una serpe al figlio che chiede pane. È bello sentire di far parte di una religione che mostra un Dio tenero e buono, anche se gli sforzi di mostrarne una faccia vendicativa e assetata di sangue sono sempre presenti in una certa realtà religiosa che lo vuole mandante del sacrificio sanguinario del Figlio.

Credo che un messaggio evangelico che ci mostri Dio come Padre, e che metta come verità suprema il bene dell'uomo, non possa permettersi di far passare un messaggio così poco aderente alla realtà di Cristo, morto certamente in croce, ma non per volere di Dio. La nostra religione deve superare questo confine tra sacrificio e salvezza, l'uomo non si salva perché Cristo è morto in croce 2000 anni fa, ma si salva perché è stato immesso per amore nel processo creativo, e sempre per amore sarà salvato se la sua vita sarà stata conforme al Logos che governa dall'inizio tale processo, un logos fatto di ordine e armonia che lottano contro il disordine e l'entropia.       

   Così come risulta incomprensibile ad un doveroso esame del vangelo la parola "onnipotente". Che cosa significa per me cristiano la frase "credere in Dio onnipotente". In quale Dio credo se, per affermazioni dei sapienti Dio è inconoscibile, come bene insegna la teologia apofatica e S. Agostino con essa, quando ci ricorda che se comprendiamo Dio allora non è lui che conosciamo, ma un idolo qualsiasi? Io negli anni ho maturato lentamente una idea di Dio molto reale e molto umana, aiutato in questo processo da notevoli pensatori e teologi. Lo studio del Vangelo d'altronde non poteva che farmi approdare a certe conclusioni, e cioè che quanto riferisce il vangelo di Giovanni in vari punti, "Dio nessuno lo ha conosciuto, solo il Figlio ce lo mostra e spiega", oppure "Chi vede me vede il Padre", e ancora "Io e il padre siamo uno solo", ci dice chiaramente che di Dio si parla solo in riferimento a Gesù di Nazaret. Questo uomo che passando per le strade di Galilea, si commuoveva fin dalle viscere per le sofferenze altrui, che guariva infermi e ciechi, che predicava le Beatitudini, e si presentava come "Il regno di Dio in mezzo a noi", ebbene Lui è la chiave di tutto. Se dobbiamo dare delle definizioni precise ad un Dio altrimenti sconosciuto, non possiamo non partire da ciò che sappiamo di Gesù di Nazaret e da quello che lui disse e compì. Ecco allora che va capovolta tanta Cristologia classica che dice convintamente di essere nel giusto, che Gesù è uguale a Dio. Un'affermazione che serve a dare il dovuto risalto divino a Gesù di Nazaret, ma che non gli rende giustizia. Perché se Dio nella frase è il predicato nominale del soggetto Gesù, noi a Gesù quali aggettivi divini potremmo dare? Solamente quelli classici filosofici e teologici che nulla spiegano: onnipotenza, trascendenza, distanza. Ma noi conosciamo un Gesù che invece è debolezza umana nella carne in cui si è incarnato, è vicino agli uomini di qualunque strato sociale e religioso, ha operato per eliminare la sofferenza che gli si parava davanti gli occhi. Quindi diventa bellissimo poter dire al contrario della classica teologia "Dio è uguale a Gesù". E allora tutto diventa più semplice, facile, diamo a Dio degli attributi a noi familiari, più comuni, gli diamo insomma tutte le caratteristiche dell'uomo Gesù. D'altronde, centro del cristianesimo, dal punto di vista della rivoluzione religiosa e antropologica che rappresentò all'epoca e continua ad essere ancora, è proprio nel mistero dell'Incarnazione. Dio ci viene incontro abbassandosi al nostro stato umano, e noi uomini lo incontriamo quanto più diventiamo umani. Più l'uomo si umanizza e diventa pienamente umano, portando al massimo le sue capacità e i suoi carismi, più egli si approssima al fratello che vede, e più incontra e rende gloria al Dio che non vede, ma sa che è nel fratello vicino, nel sofferente, nel diseredato, nel peccatore. Quindi credere in Dio è avere Gesù come punto di riferimento; ma per chi non lo conosce è credere nel bene dell'uomo, quello per cui Gesù visse e lottò contro il potere dell'epoca, e dal quale fu condannato a morte. Allora diventano secondarie, non inutili, tante teorie religiose sul peccato, sui riti, sulla salvezza e sulla cosiddetta redenzione ad opera di una morte in croce che non fu per soddisfare un Dio sanguinario e vendicativo, ma fu opera di un potere umano che mirava a difendere e salvaguardare se stesso da colui che rappresentò una vera rivoluzione copernicana nella società dell'epoca con un riferimento assoluto alle società di tutti i tempi. Il bene umano viene prima dell'onore a Dio, e del rispetto delle leggi; nessuna autorità religiosa deve arrogarsi in nome di Dio il potere di certificare il diritto alla felicità degli uomini, ma deve essere in prima fila se vuole a guidare un rinnovamento spirituale e culturale che possa servire a eliminare o quantomeno ridurre la sofferenza nel mondo. È una delle aberrazioni che devono essere eliminate dalla teologia cattolica e da tutte le professioni di fede che lo contengono è proprio il termine "onnipotente". Introdotto nel Credo costantinopoliniceano, per raffigurare Dio come figura imperiale, su impulso dell'imperatore romano che promosse i primi concilii.

Io personalmente da qualche anno aggiungo alla parola "onnipotente" la parola nell'amore, come giustamente si è sottolineato più volte parlando di questo aggettivo onnipotente. Questa questione dell'onnipotenza non è assolutamente secondaria, se si considera la visione che ne segue dall'uso di questa parola quando essa cominciò a designare il dio del cristianesimo. Fu la commistione con la cultura ellenistica che generò questo passaggio, dal dio di Gesù estremamente buono e misericordioso al dio onnipotente, re degli esercito, e associato al timor di dio. Mentre d'altro canto, la concentrazione del potere nel centro ecclesiastico per eccellenza, Roma e il papato, vedeva cadere a fagiolo questa figura, che tutto può e vuole, di Dio onnipotente per giustificare la arroganza del potere di papi e vescovi che così potevano legiferare e giudicare al posto del dio che mai lo avrebbe fatto e mai lo farà.

Il primo a nuocere alla causa del dio buono di Gesù fu Origene e a seguire gli apologeti cristiani del terzo secolo a. C., che dovettero difendere dai pagani ellenizzati, quella che Paolo chiama la stoltezza di Dio per i pagani, e cioè la sua morte in croce. Non potendo Dio, che è per sua natura trascendente, immortale, infinito come voleva la filosofia ellenistica, morire miseramente in croce, si addossarono a Gesù queste debolezze, facendone una seconda divinità accanto al Padre, un Logos che con le sue sofferenze riscattava gli uomini e la creazione. Origene e i suoi seguaci ignorarono la grande bellezza e novità che ci dava a vedere un Dio che in Gesù aveva mostrato la kenosis, la sua debolezza, e che si era incarnato nella sarx, carne, con Gesù fatto uomo come noi. Essi continuarono a vedere le due persone separate, e dio come Adonai, Pantokrator, Shabaoth. Cosicché un Dio di potere e di forza venne a prendere il posto, nel cristianesimo, del Dio debole, buono, misericordioso, che Gesù aveva mostrato ai credenti e alla umanità intera. Così il cristiano, oltre che con una falsa immagine di Dio, deve fare i conti anche con la istituzione che lo rappresenta, e che se ne impossessa, come figura di potere, funzionale all'esercizio del potere della Chiesa. E questa è stata sempre espressa dal medioevo ad oggi, nelle varie encicliche e concili, poiché la Chiesa gerarchica è istituzione di potere che essa esercita in nome di un Dio che non c'è e che mai è esistito, l'Onnipotente appunto.                                                                                                                                         

Concludo ricordando, a me stesso per primo, che la religione cristiana che professiamo, non è vera perché è stata annunciata dagli apostoli, ma è stata annunciata perché è vera, e una cosa è vera se trova riscontro nella vita concreta e nell'esperienza di ogni giorno. Un vangelo non vissuto non è più vero, indipendentemente dall'autorità di chi lo annuncia.

 

 

 

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