Leggere le Scritture

Testi di Gioacchino La Greca

 

 

GLI ULTIMI DELLA TERRA NEI VANGELI

 

Mendicante ragazza e donna Spinning di Giacomo Antonio Ceruti, detto il Pitocchetto

 

Sia l’Antico che il Nuovo Testamento sono pieni di esempi di Beatitudini per i poveri, e di ammonizioni e minacce contro i ricchi. Addirittura è contemplata la sterilità, cioè l’incapacità di concepire, come simbolo dell’aridità del cuore, mentre chi viene premiata è l’umiltà della vergine ancella, a cui il Signore guarda dall’alto (Lc 1,48).

Consideriamo solamente il Vangelo in questo capitolo, dove è presente un’ampia umanità con cui Gesù si schiera e che chiama “poveri”. Chi sono? Sono i piccoli, gli ultimi della società, gli esclusi; quelli che non contano, i trascurati, i disprezzati e calunniati; i perseguitati, coloro che dispongono di poco, che vivono dell’essenziale. E poi i peccatori e i pagani, accomunati da uno stato di perenne impurità, per i quali era impossibile avvicinarsi al tempio e al dio del tempio; c’è il disabile, la vittima, il sofferente. Insomma il povero è l’uomo debole, per uno stato di indegnità e di indigenza indipendenti dalla sua volontà, spesso vittima delle circostanze sfortunate della vita o della cattiveria degli uomini.

Con questo tipo di persone Gesù forma la sua prima comunità, forgiando un’etica rivoluzionaria che cancella ogni legge del più forte, mettendo al primo posto il Bene dell’Uomo.

È quanto sottolinea J. Castillo, che dice come Gesù abbia introdotto un criterio sovversivo da autentico rivoluzionario sociale, nel senso di un’inversione di valori e situazioni cristallizzate dal tempo, che si applica alla vita delle persone e alla società nella dimensione della solidarietà che deve affermarsi al di sopra del diritto. Solo a partire dall’eguaglianza o, meglio ancora dal basso, si crea pertanto solidarietà, poiché solo dall’ultimo posto è realmente possibile alleviare la sofferenza e diffondere felicità e realizzare il cambiamento e il nuovo Regno.

All’opposto c’è un altro tipo di umanità, il ricco, distratto dal possesso dei beni, succube della schiavitù dell’avere (Mc 10,23 in cui il giovane che corre mostra possessione ad opera dei beni di cui non può disfarsi per seguire Gesù). C’è il potente preso dalle preoccupazioni del comando, indurito dall’ego, colui che regola i rapporti con la forza, che si impone sul debole.

Questo tipo di “povertà” è quella di chi si accontenta del necessario e del poco, il che suona quasi blasfemo in tempi in cui profitto e possesso sono i demoni del mondo. Povertà è quella dello stesso Gesù e dei suoi discepoli, della povera vedova, che nel tempio dà la sua offerta per i bisognosi quando è lei quella che il tempio dovrebbe sostenere. E ancora, “povertà” è quella dello spirito delle Beatitudini, punto centrale e cuore della Rivelazione, la povertà che ha esperienza delle sofferenze dell’esistenza e delle situazioni di esclusione.

Il biblista Alberto Maggi sottolinea come Gesù non ha proclamato beati i disgraziati della società opulenta e beatificato quelle condizioni di sofferenza e di dolore, né ha proclamato beati quelli che la società affama e opprime. Gesù è venuto per eliminare la povertà, per strappare i miseri dalla condizione di indigenza e di dolore. Gesù vuole portare a compimento la volontà del Padre, il bene e la felicità dell’uomo, dando la certezza che il Cristo è presente in una comunità dove non esistono gerarchie e diseguaglianze, ricchi e non abbienti, chi comanda e chi è schiavo, ma dove tutti sono e si comportano da fratelli, responsabili gli uni della felicità e del benessere dell’altro.

La povertà che ci ha insegnato Gesù ha un grande valore spirituale, perché è la strada per giungere al centro dell’umanità. Essa è infatti ”essenzialità e semplicità”, cioè capacità di svuotare se stessi del proprio “ego” diventando “genuinità e nudità”. Possiamo affermare con H. Balthasaar, che i poveri per la mancanza di qualcosa di proprio, dispongono dello spazio per accogliere con gioia Dio e il suo messaggio, hanno l’atteggiamento di un’anima generalmente aperta, che permane nell’ascolto e nell’accoglimento della parola.

Una volta che l’individuo riesce a cancellare la sua “prospettiva”, che vede se stesso come centro del cosmo, si acquista un’apertura logica diversa, ad ampio raggio, e questo salto in alto che si compie permette di vedere tutte le catene che legano gli uomini alla necessità, tutto il vuoto che riempie i nostri modi del vivere comune, svilendone i contenuti, ci si rende conto della povertà di tali situazioni e di come non si è liberi, ne tanto meno autosufficienti. E perciò si sente il bisogno di incrementare se stessi, la parte buona dell’Io, e si desidera qualcosa di più importante, ci si pone al servizio di ciò che ha più valore, in attesa del suo nutrimento.

Afferma il teologo Vito Mancuso che “l’anima diviene divina quando cessa di volere diventare qualcosa di importante, affermare se stessa, diventare qualcuno. Quando l’anima si fa povera, aderendo al nudo essere qui, felice di esserci, conciliata, innocente, essa aderisce totalmente all’ininterrotto processo divino… Siamo noi che dobbiamo tornare ad essere come bambini, tornare innocenti, ottenere l’immortalità mediante la povertà dello spirito che non vuole nulla e che è semplicemente felice di essere”. Spogliandosi di se stessa, in questa nudità, si acquista disposizione ad accogliere, apertura alla fecondazione, inizio del cammino nella dimensione dello spirito, dove agisce la Libertà e si cresce in umanità. “Solo a livello spirituale”, dice Simone Weil, ”si può rinunciare alle cose garantite” e conoscere la vera povertà di spirito.

Il povero di spirito è colui che “niente vuole, niente ha, e niente sa” (M. Eckhart). L’uomo trova questa povertà quando retrocede allo stato originario, dove Dio opera più facilmente, perché opera in se stesso visto che tutte le creature sono in lui. Il farsi povero, quindi, significa rientrare in Dio, nella situazione iniziale che richiede svuotamento di e il nulla.

Quindi in questa ricerca di apertura agli altri e di crescita interiore e spirituale si innesta il messaggio di Amore-Agape di Cristo. Esso si avverte come bene che riempie l’animo per cui trasborda sull’altro, su tanti altri, la comunità, ricevendo altro nutrimento, in una dinamica di andata e ritorno che è arricchimento reciproco. Così si diventa humus per sé e per gli altri, si scoprono le ragioni del cuore che vanno al di là di tutti gli altri obblighi, ci si fa umili (da humus che significa fertile) e miti, che non è debolezza , ma dolce caparbietà, la forza della mitezza, capace di fecondare con poco e farsi attenti al tutto. Così avviene la crescita di tutti nella dimensione dello Spirito, così si diventa “primi” nel senso di genuini figli di Dio, che realizzano la vera rivoluzione di tutti gli uomini a partire da se stessi.

La povertà è dunque la categoria umana capace di attingere alla vera umanità e di crearla comprendendo tutti. È qui che nasce il nucleo dell’umanità, il suo archetipo, l’elemento che unisce tutti gli uomini e che viene esaltato dall’Incarnazione, perché Gesù appartiene a questa carne, è umile, è libero, è vero. È questa categoria che sale con Cristo sulla croce per dare a tutti coloro che diventano come lui, la possibilità di salvezza. La rivoluzione di Gesù, che scardina i pilastri del comune modo di vivere, opera una totale liberazione dell’uomo dal retaggio dell’animalità in un processo di maturazione che è di emancipazione sociale e di profonda umanizzazione, e dove si raggiunge la pienezza dello spirito che è accesso alla dimensione divina, a quella che Theilhard de Chardin chiamava punto omega. Il Crocifisso parla a nome di questo uomo vero, per il quale si immola, innamorato del grandioso progetto del Padre, in cui la sua morte in croce è toccare il punto estremo dell’umanità che si è incarnata. È il processo iniziale, che porta l’uomo alla sua divinizzazione, ecco il senso di redenzione e salvezza, una nuova creazione di un nuovo uomo che vira energicamente il suo cammino verso l’alto, fino al ritorno nel seno di Dio che lo ha generato.




 

 

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