Canti sannicolesi

 

 

 

 

Dal terrazzo

 

 

 

 

 

 

 

 
I
 
 
Cielo e mare esteso
dal terrazzo
entrano
in me
del creato
il profondo
dimostrando.
 
..

 

 

 

 

 
II
 
Vasta natura,
ampio trionfo
tu racconti
di vita
e d’amore,
immagini azzurre
disegnando
 
qui non fa male
la sofferenza
perciò io canto.
 

 

 

 

 

 

 

 
III
 
 
Bianchi gabbiani di vento
sul profilo dei monti
sen vanno.
Negli spazi percorsi
dall’ampia corsa del cuore
echeggia
il canto
che cerca un cielo più chiaro.
S’appuntano gli occhi negli occhi
lontani di sole
s’appaga
nel fresco incontro
dei visi
l’ondata raminga del cuore.
Non più chiede la mente
che improvvisa in un volo,
poesia,
un incontro
nell’isola d’oro.
 

 

 

 

 

 

 

 
IV
 
 
L’aria è odorosa
il mare sonnolento
partono echi dall’alba.
Nel miope velo del cielo
triste è il coro. 
Ma tra le ore calme
il giorno è rincorso
e vinto.
Poi con lunghi colloqui
svuotano l’anima
e il pensiero,
le stelle.
 
 

 

 

 

 

 
V
 
Stanco e vano è il giorno.
 
Apre il tramonto
un baratro
nella consistenza del cielo.
Per brevi istanti
vivo e solenne
è l’oltraggio.
 
Poi cancella l’affronto
la sera.
 
Finisce 
così
chi osa?
 

 

 

 

 

 
VI
 
Di qua il mare
è un lago sereno
specchio di calma
 
non traspare
al di là del suo velo
la voce del fondo.
 
 
Di là è forza possente
che increspa
e muove le onde
che vive
che sbolle
dell’orizzonte lontano
l’ignoto cercando.
 
 
O mare 
che miro da questo terrazzo
sei due stati 
dell’animo mio.
 
 

 

 

 

 

 

 
VII
 
 
Dalla chioma frondosa
d’una quercia
da un tetto o da un giardino
festosi partono gli uccelli
nell’aria disegnando
retti sentieri o fragili arabeschi.
In volo mandano richiami
come discorsi ripresi
e abbandonati
in un ciurlare pieno d’armonia.
 
Io raffiguro
uccelletti miei
questi giochi che voi leggeri fate
a quelli della mia fantasia
che come voi
canta
ricama 
e va.
 

 

 

 

 

 

 

 
VIII
 
 
La spaziosa bellezza del creato
ch’io godo da questa zona alta
mi prende mi domina mi esalta
come a nessun altro uom è dato.
 
A me succede poi un’altra cosa
essa diventa, strano non ti sia,
una prigione brutta, triste e ria,
che fa la mia vacanza dolorosa.
 
Io mordo il freno, ma il dì passa lento,
tutto dorme, non s’ha alcuna fretta,
nessuno c’è che possa darmi retta
e alla mia smania dare lenimento.
 
Ho escogitato allora una magia
per fuggire da questa mia prigione
prendo il pensiero e me ne vado via.
 
 

 

 

 

 

 

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